Che succede se “il mondo dietro di te” crolla? Gli spunti di un film sul legame uomo-natura
Non tutti sanno che nella mia ormai non vicina gioventù, ho animato anche, in una delle radio private napoletane che allora stavano nascendo, una rubrica di critica cinematografica, che mi permetteva di esprimere la mia grande passione per il cinema, la “settima arte” come veniva definita. Il fatto era noto a tanti, addirittura qualcuno mi vedeva critico cinematografico di grandi quotidiani (a me piacevano molto come stile Valerio Caprara, Tullio Kezich e Enzo Siciliano), e perdevo la testa per i film di Hitchock e Truffaut: per me il film più bello in assoluto è Jules et Jim di quest’ultimo!
Bei ricordi, sbiaditi nel tempo perché negli ultimi 40 anni non solo sono molto cambiato io, ma anche il cinema. E trovare film che aiutino a riflettere e a discutere in modo appassionato senza cadere in facili stereotipi o senza annoiare, ormai è sempre più difficile. Ogni tanto, però, accade di imbattersi quasi per caso in qualche opera che fa scattare la voglia di parlarne, di raccontare, di condividere le proprie sensazioni. È quel che mi è capitato quando, approfittando del periodo natalizio, ho guardato un film su Netflix, “Il mondo dietro di te”, con due grandi attori pluripremiati agli Oscar, Julia Roberts e Mahershala Ali (ma anche con un ottimo Ethan Hawke). Per chi può, e non l’avesse visto, consiglio di ripescarlo.
Gli spunti di riflessione forniti dal film sono tanti, e la bravura degli attori riesce a trasmettere bene il senso di oppressione e di incertezza che aleggia lungo tutta la storia, che (senza anticipare molto) è presto detta.
In una rara pausa di vacanza lontano dalla città, una famiglia si ritrova invischiata nel collasso della civiltà come la conosciamo.
Il mondo intorno crolla, e si perdono tutti i riferimenti conosciuti ed “esterni”, riscoprendosi impotenti. Non a caso il marito, in una scena altamente drammatica, afferma: «Non ho la minima idea di ciò che dovrei fare ora come ora. Non riesco a fare praticamente niente senza il cellulare e il GPS». Mi ha molto colpito questo tema: manca l’energia elettrica o la possibilità di usare i quotidiani strumenti di comunicazione – ed è esperienza fatta magari anche da noi qualche volta – e subito ci sentiamo persi, smarriti… Affidare il mondo alla tecnologia, alle Intelligenze Artificiali di ogni tipo, ci sta facendo perdere il contatto con la natura, e con ciò che siamo nel profondo noi stessi. Nel film c’è una scena altamente simbolica: decine di auto Tesla a guida automatica, quelle che vanno da sole senza autisti, si schiantano l’una addosso all’altra, come impazzite.
Di converso, c’è quasi la muta richiesta all’umanità di tornare indietro da parte del mondo naturale: all’uomo inutilmente aggressivo e violento, i cervi che appaiono in alcune scene rivolgono in modo pacifico solo uno sguardo mite e supplicante. Se la tecnologia non aiuta a crescere nell’interiorità, ma anzi taglia il legame uomo-natura e uccide la “voce interiore” con il frastuono e il consumismo delle immagini, allora il pericolo è davvero grave, perché l’umanità non ha più risorse vere. Eppure, segnali e avvertimenti ce ne sono stati e ce ne sono, come spiega la piccola Rose alla madre, e si può dare la colpa solo a un cuore di pietra incapace di iniziare un vero cammino di conversione e guarigione, personale e comunitaria.
Una visione pessimistica del futuro dell’umanità? Io direi più che altro una visione realistica, da cui si esce solo se si trovano i motivi per stringere nuovi rapporti di fiducia con gli altri. La famiglia, infatti, in questo contesto trova aiuto nei proprietari della casa presa in affitto per le vacanze, e piano piano i rapporti – all’inizio di diffidenza, sospetto, paura reciproca – si sciolgono in una mutua collaborazione, fino alla domanda per me centrale: «Devo sapere se posso fidarmi di te».
All’egoismo di chi si chiude a difesa del proprio piccolo orticello, dinanzi a un cambio di epoca che spiazza e rende inutili tanti nostri schemi mentali e modi di comportarci, che spazza via ogni tipo di certezza lasciandoci soli con la nostra fragilità, il film – ma oserei dire la ragione, prima ancora che la stessa Parola di Dio – porta a concludere che l’unica via di uscita è fidarsi dell’altro, stringere nuovi rapporti di solidarietà, recuperare le ragioni di un’armonia ritrovata tra uomini, e di questi con la natura.
di Pino Natale