Omelia del Vescovo Carlo per il mercoledì delle Ceneri
Gl 2,12-18; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18
Con il mercoledì delle Ceneri, che quest’anno è caduto il 14 febbraio, inizia il nostro percorso quaresimale, il lungo periodo che ci porterà verso il giorno di Pasqua, cuore e centro della nostra vita di fede. Il Vescovo Carlo ha voluto celebrarlo con noi e con tutti i sacerdoti, presso la Parrocchia di S. Maria Assunta in Ischia Ponte, visto che la Cattedrale è chiusa per lavori. L’omelia pronunciata durante la celebrazione è un vademecum per affrontare con la giusta disposizione questo importante percorso che ogni anno ci consente di riflettere sulla nostra vita, sulla nostra fede e sul nostro rapporto con il Signore.
Nella Prima Lettura, tratta dal Libro di Gioele, ritornano le parole ‘cambiamento’ e ‘ritorno’. Sono il nucleo centrale della riflessione che il Vescovo ci ha offerto, per introdurci allo spirito che deve animare la nostra Quaresima. Il profeta Gioele invita il popolo di Israele a cambiare, cioè a convertirsi, e a tornare a Dio, il quale sembrava fosse nascosto, mentre invece era solo in attesa. Si tratta – ha precisato il Vescovo – di un duplice cambiamento:
«Ritornare e cambiare nella lingua ebraica sono la stessa realtà: il popolo che cambia, e ritorna a Dio, e Dio che cambia e si orienta verso il popolo. Queste parole stanno a significare un aspetto importante di Dio: Egli vuole che nessuno si allontani da Lui, ci accoglie sempre nel Suo cuore».
Dio ci ama, non ci abbandona mai, attende paziente la nostra conversione, cioè, attende che in noi maturi la volontà di cambiamento, che la nostra vita si orienti sempre e nuovamente verso di Lui. Questo avviene se noi facciamo quella esperienza che fu propria del popolo di Israele, che vagò a lungo nel deserto, fino a comprendere ciò che il Signore si aspettava da lui. L’esperienza del deserto è quella che ci suggerisce anche Papa Francesco nel suo Messaggio per la Quaresima di quest’anno. Attraversare il deserto, andare verso la terra promessa, è l’esperienza che ci consente di convertirci. E questo è possibile – ha sottolineato padre Carlo – se mettiamo al centro la Parola di Dio, ‘lampada per i nostri passi’, bussola che deve orientare la nostra vita. Attraversare il deserto significa anche uscire dalle nostre abitudini e dalle nostre sicurezze, significa mettersi in cammino, uscire dall’individualismo per incontrare il Signore.
C’è una sorta di circolo virtuoso che si mette in moto nel cammino quaresimale, quando fatto bene: si esce da sé stessi, per mettersi in cammino, per andare verso il Signore, ma in tal modo si incontra il nostro prossimo e questo significa anche in fondo incontrare noi stessi, riflessi negli altri e nel rapporto con il Signore, il che ci riporta al punto di partenza, ma in un contesto di rinascita che ci fa assaporare e ritrovare noi stessi in un rinnovato rapporto con Dio. In questo cammino è necessario però avere un profilo di sincerità, non bisogna indossare maschere. Citando il passo del Vangelo di Matteo, il Vescovo ha sottolineato infatti la necessità di non essere ipocriti nel costruire rapporti con il Signore e nemmeno nel compiere le azioni che la Chiesa propone nel cammino quaresimale: elemosina, preghiera, digiuno:
«Non siamo chiamati ad essere come gli ipocriti, non siamo chiamati a fare elemosina per farci notare o a diventare malinconici, come gli ipocriti, quando facciamo digiuno, solo per essere visti dagli altri».
Esiste una stretta correlazione tra le tre dimensioni, che si legano l’una all’altra e sono conseguenza una dell’altra. Se infatti digiuniamo, comprendiamo coloro che soffrono la fame, comprendiamo quanto sia prezioso il cibo e quanto la sua presenza sulle nostre tavole dipenda da chi quel cibo lo produce e lo prepara. In tal modo mi predispongo ad aiutare coloro che hanno bisogno della mia elemosina, cioè del mio aiuto. L’elemosina in tal modo non è un atto che serve a mostrare la mia maggiore ricchezza, ma diventa segno della comprensione della interdipendenza tra gli uomini. E tutto questo poi lo porto davanti al Signore nella preghiera, che non è più solo ripetizione di formule, ma ricco dialogo con Dio, un dialogo fondato sulla consapevolezza della nostra condizione.
«Se abbiamo detto che il digiuno e l’elemosina sono esperienza di relazione, questa relazione autentica la fondiamo nella nostra relazione con il Signore, e se io sono in stretta relazione con Dio sono anche in stretta relazione con me stesso e con i miei fratelli». La Quaresima va dunque intesa in questa prospettiva che il Vescovo ci ha suggerito, non come penitenza e rinuncia, ma come invito ad una maggiore prossimità, la quale deriva dal ritornare a Dio, attraverso un movimento di conversione che ci consente di essere autentici con noi stessi, con gli altri e con Dio.