Omelia del Vescovo Carlo per la festività di San Giuseppe Lavoratore Primo maggio, Parrocchia di Santa Maria di Portosalvo
Con la festività di San Giuseppe Lavoratore la Chiesa si associa al riconoscimento della dignità del lavoro, come dovere dell’uomo e strumento di miglioramento della società e accende i riflettori su una figura, quella del padre adottivo di Gesù, sulla quale nei Vangeli è detto veramente poco, una riservatezza che è esempio di una vita sicuramente vissuta nell’umiltà, ma saldamente ancorata al cerchio della famiglia e dotata di una fede salda. La Liturgia della Parola presenta, per questa festa, un brano tratto dal primo capitolo del Libro della Genesi che racconta la creazione dell’uomo e della donna, con la benedizione del Signore e il mandato di essere fecondi e di moltiplicarsi, un atto creativo che implica la nascita della famiglia, nucleo fondante nel quale far crescere l’umanità. Una umanità che, ha spiegato il Vescovo nell’omelia, deve crescere nella relazione con Dio e nella fede, le quali devono essere tramandate di padre in figlio, all’interno, soprattutto della famiglia. Se tale opera di trasmissione avviene in modo corretto, la fede si mantiene intatta nei secoli, attraverso le generazioni.
È esattamente quanto accade nella vita di Gesù, grazie all’azione positiva di Maria, senza dubbio, ma anche e soprattutto di Giuseppe, al quale, come ad ogni padre della tradizione ebraica, è affidato il compito di garantire il passaggio della tradizione.
Il brano tratto dal Vangelo di Matteo presenta Gesù che con sapienza e prodigio si distingue nella sinagoga del suo paese, Nazareth, suscitando lo stupore della sua gente. Il Vescovo ha sottolineato l’importanza dell’azione educativa che Gesù aveva ricevuto in famiglia:
«Credo che la festa di san Giuseppe in questo primo maggio possa portare la nostra attenzione sull’importanza della famiglia come luogo di trasmissione della fede e sulla bellezza della famiglia che accompagna i propri figli nella conoscenza di Gesù, di questa fede che ci viene tramandata fin dai tempi degli apostoli, da chi ha riconosciuto da subito Gesù come il Risorto, ed è arrivata fino a noi».
Mons. Villano ha esortato poi a pensare da chi è venuta la fede che oggi ognuno di noi possiede, dono di Dio ricevuto con il Battesimo per volere dei nostri genitori, ma coltivata con l’esperienza personale e anche attraverso i racconti di quanti ogni giorno narrano il loro incontro con il Signore. La parrocchia – ha detto – è uno dei luoghi dove ciò può avvenire più facilmente, anzi, per le singole comunità diventa impegno inderogabile continuare a trasmettere e testimoniare: «In pieno cammino sinodale, noi siamo chiamati ancora oggi ad accompagnare nel cammino della fede, a raccontare la nostra fede di generazione in generazione. Lo vediamo anche in questa comunità che è anche Unità pastorale, ma anche Chiesa universale, Chiesa di Cristo».
Quel racconto della Genesi è il racconto del sogno di Dio per l’uomo, che noi siamo chiamati a continuare e a realizzare, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità:
«Il nostro sogno è come quello di Dio? È quello di essere la Chiesa che sa camminare, che sa annunciare la fede e la sa trasmettere?».
Celebrare insieme questa festa – ha concluso – è segno della volontà di dire il nostro sì al Signore, di costruire una Chiesa in grado di continuare a trasmettere, di generazione in generazione, ascoltando la Parola, quella fede che ci è stata tramandata ed è giunta a noi attraverso i nostri genitori.