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Pedagogia degli oppressi

Nel 1968, Paulo Freire – uno dei più autorevoli pedagogisti del XX secolo – pubblica Pedagogia degli oppressi. In questo suo libro, il pedagogista brasiliano cerca di rispondere ad alcune domande: “Cosa significa educare? perché educare? chi educa chi? quali rapporti esistono tra educazione e società e tra educazione e cambiamento?”

Ma chi sono gli oppressi? E quale relazione tra educazione e oppressione? Riporto a riguardo un breve e significativo passo.

«Altra caratteristica degli oppressi è l’autosvalutazione perché introiettano la visione che l’oppressore ha di loro. A forza di sentirsi dire che sono incapaci, che non sanno fare nulla, ecc. ci credono, se ne convincono. Molte volte insistono che non c’è differenza tra loro e un animale… difficilmente lottano, non hanno neppure fiducia in sé stessi. Si sentono posseduti come cose. Uomini ridotti a meri oggetti sviluppano non la biofilia ma la necrofilia (amano tutto ciò che non cresce, tutto ciò che è meccanico). Hanno introiettato l’ombra dell’oppressore per il quale essere è apparire e apparire è essere.»

Per Freire, che ben lo spiega, non c’è educazione se non attraverso la liberazione degli uomini dall’oppressione. Gli oppressi devono conoscersi, prendere coscienza del loro stato di schiavitù, devono scoprirsi per quello che veramente e autenticamente sono perché l’altro compito è poi scoprire/smascherare/liberare l’oppressore. Si tratta di un cammino di liberazione che giova a tutti!

Pedagogia degli oppressi è dunque un libro che aiuta anche a conoscere sé stessi, l’altro e il ruolo dell’insegnante. Leggiamo a questo proposito cosa scrive:

«Faccio l’insegnante a favore dell’onestà contro la spudoratezza, a favore della libertà contro l’autoritarismo, a favore dell’autorità contro la mancanza di regole, a favore della democrazia contro la dittatura di destra o di sinistra.

Faccio l’insegnante a favore della lotta costante contro qualsiasi forma di discriminazione (tra poveri e ricchi, tra donne e uomini, tra piccoli e grandi, tra chi è svantaggiato e chi non lo è), contro il dominio economico degli individui o delle classi sociali.

Faccio l’insegnante contro l’ordine capitalista vigente che ha inventato l’aberrazione a cui siamo di fronte: la miseria nell’abbondanza.

Faccio l’insegnante a favore della speranza che mi dà forza nonostante tutto.

Faccio l’insegnante contro la disillusione che mi consuma e mi paralizza.

Faccio l’insegnante a favore della bellezza della mia stessa pratica, bellezza che svanisce se non mi prendo cura del sapere che devo insegnare, se non mi do da fare per questo sapere, se non lotto per le condizioni materiali necessarie all’adempimento del mio compito, senza le quali il mio corpo, trascurato, corre il rischio di lasciarsi andare e di non essere più il testimone che deve essere, quello di un lottatore perseverante, che si affatica ma non desiste. Bellezza che svanisce dalla mia pratica se, pieno di me, arrogante e ombroso nei confronti degli alunni, non mi stanco mai di ammirarmi.»

Davvero un bel libro di cui consiglio vivamente la lettura. PAULO FREIRE, Pedagogia degli oppressi, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2022.

A cura di Angela Di Scala

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