Anche in occasione della solennità della Pentecoste, che abbiamo celebrato, la liturgia ci suggerisce una scansione del tempo diversa da quella che siamo abituati a vivere. Nella preghiera del Prefazio il sacerdote dice: “Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale”. Non dà un significato del tutto nuovo pensare a questi cinquanta giorni successivi alla Pasqua come un cammino per “portare a compimento il mistero”?
Di fatto il nostro è un pellegrinaggio fino al nostro ultimo respiro nella sempre maggiore comprensione del significato della passione, morte e resurrezione di Gesù, ma il tempo di Pasqua è ancora più propizio per questa conversione e soprattutto è decisiva per questa nostra trasformazione la discesa dello Spirito Santo, senza il quale non potremmo fare nulla.
Anche riguardo a questa consapevolezza dei doni e della Grazia dello Spirito, la liturgia ci viene incontro invitando tutta l’assemblea a recitare la Sequenza che molto spesso introduce la preghiera dell’Angelus prima delle Lodi mattutine, o che viene recitata in tanti altri momenti di preghiera, ma solo a Pentecoste così solennemente. Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce… La terza persona della Trinità viene definita attraverso le azioni che può compiere in noi e San Francesco nella sua Regola chiede ai suoi frati prima di ogni altra cosa di essere docili proprio a questa azione: “Ammonisco ed esorto i miei fratelli di desiderare di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione”. Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo…
Chiudendo gli occhi ho provato a recitare nuovamente questi versi facendoli abitare dentro la casa e le relazioni di una delle nostre famiglie e mi sono accorto che da essi si sprigiona la vita nella sua straordinaria bellezza, ma anche nella fatica dei giorni qualunque e nel dolore dei tempi più cupi. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. Mi chiedo quanto lasci che lo Spirito ispiri le mie parole e plasmi i miei gesti. Spesso con mia moglie una frase è già sfuggita dalla bocca senza che sia riuscito a controllarla e immediatamente la ferisce; oppure, di converso, non ho la prontezza di una carezza o di un apprezzamento e l’occasione sfugge, sia con lei, sia con i figli. Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.
Come il pellegrino russo che recitava ogni istante sempre la stessa invocazione “Abbi pietà di me”, così dovrei chiedere lo Spirito in continuazione, “senza stancarmi mai”, proprio come Gesù ci ha chiesto, in merito alla preghiera. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. È la nostra coscienza che ha bisogno di essere lavata, la nostra terra ha bisogno di acqua, le nostre ferite sanguinano; i pensieri sono rigidi, gli affetti gelidi e la volontà sviata, ma nello stesso tempo sono le nostre mani di sposi e di genitori e ancora prima di figli e fratelli, nella Chiesa e nel mondo, che possono portare la luce dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto in dono. Nel cuore conosciamo benissimo i luoghi in cui necessitiamo di essere sanati e così, con umiltà, possiamo divenire a nostra volta “paracliti”, ovvero consolatori, infermieri (senza sindromi da crocerossini, perché sappiamo che solo Cristo salva!), portatori di luce e di quel pezzo di vita che sta solo a noi costruire e coltivare.
Nessuno indispensabile, tutti unici e irripetibili. Bisognerebbe ripeterselo più spesso, in famiglia come nelle nostre comunità. Siamo servi inutili, ma se conserviamo questa consapevolezza che tiene a bada la superbia di essere migliori, possiamo fare grandi cose e miracoli anche più grandi di quelli compiuti da Gesù, lo ha detto lui stesso. Che bello quando tua moglie o tuo marito, un figlio, un fratello o un amico sente che ha la tua piena fiducia, lo incoraggi e lo inviti, senza invidia, a fare cose molto più grandi di te! La sequenza si conclude con le parole dona gioia eterna.
Come, il giorno di Pentecoste, gli apostoli e Maria, riuniti nel Cenacolo, furono riempiti dallo Spirito tanto da poter essere compresi da tutti, a prescindere dalle loro lingue di appartenenza, così noi possiamo vivere una nuova Pentecoste che ci spinge fuori dai nostri cenacoli, dalle nostre assemblee più o meno coese e più o meno comode. Siamo chiamati ad essere luce per tutti e a testimoniare che la gioia eterna che il Signore ci ha promesso, si costruisce e si vive a partire da oggi.
di Giovanni M. Capetta – Sir