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Manuel, malato di Sla, che benedice il suo amico vescovo

Mons. Trevisi, vescovo di Trieste, l’ha citato per nome davanti al Papa: “Manuel mi invia la sua benedizione e l’augurio di una buona giornata via WhatsApp”.

Dall’altare di piazza Unità il vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, domenica ha invocato la benedizione di papa Francesco «su Manuel, un giovane malato di Sla, e su tutti i malati di Sla e di altre gravi patologie».

Ma chi è Manuel Riccio Bergamas? Ha 37 anni ed è ammalato di Sla da quando ne aveva ventuno. È a letto, immobilizzato, muove soltanto gli occhi. Per comunicare usa un puntatore ottico, un computer che tiene sopra la testa, in grado di leggere il movimento delle pupille. «Io voglio vivere, non sopravvivere», ha spesso scritto. Il vescovo lo ha chiamato per nome davanti al Papa e alla folla di piazza Unità. «Sì, lo conosco – confida Trevisi –. La patologia era stata diagnostica addirittura nel 2008 e Manuel era ventunenne quando i primi sintomi avevano iniziato a manifestarsi. La sua vita è cambiata radicalmente, ora è immobilizzato in un letto, non ha potuto proseguire l’università. Ma ha lottato e continua a lottare, tant’è che vive in un appartamento che gli è stato dato con un’assistenza 24 ore su 24. Le condizioni del suo fisico sono peggiorate gradualmente, non può respirare, mangiare o bere da solo, eppure Manuel ha un grande cuore ed è attentissimo a quello che succede nel mondo».

Sono stati un prete e un amico di Trieste che dopo il suo arrivo in città hanno accompagnato monsignor Trevisi a conoscerlo. «Ho cominciato qualche volta, in loro compagnia, ad andare a trovarlo la sera. Manuel talvolta mi stupisce perché prende lui l’iniziativa mandandomi un messaggio via whatsapp attraverso il puntatore ottico con il quale mi invia la sua benedizione e l’augurio di una buona giornata, e devo dire che la cosa non solo mi sorprende ma è una carica di grazia per l’intera giornata. Lui adesso continua a studiare, continua a impegnarsi, continua a essere interessato a quello che avviene».

Un suo messaggio prima della visita del Papa invocava la pace, da una città iconica come Trieste per lingua, culture, fede, opportunità, talvolta contraddizioni, fatiche, ma anche tante speranze. «Manuel – aggiunge il vescovo – chiedeva al Papa di continuare a impegnarsi e a lottare per la pace, a chiedere ai potenti di mettere al bando le armi nucleari e mettere al bando la guerra. Ecco, Manuel è questo. Lui, immobilizzato, non può parlare se non tramite gli occhi, eppure continua a essere attento al mondo intero e alle sofferenze delle persone – racconta Trevisi –. Penso che ci insegni a non essere ripiegati soltanto su sé stessi ma ad avere uno sguardo rivolto al mondo intero. Io ringrazio Manuel, ma ho rivolto la benedizione del Papa su Manuel e su tutti gli ammalati di patologie gravi perché nella vita talvolta ci possono essere fasi che diventano particolarmente pesanti. E allora ecco l’augurio, il bisogno di una benedizione, perché Manuel e tutte le altre persone possano sentirsi sempre nel cuore di Dio ma anche nel nostro cuore, della Chiesa e di tanti amici, vicini di casa, persone che magari occorre rallentino un poco per stargli vicino. Ma farlo è una grazia».

È una grazia, spiega ancora il vescovo, avere il suo cuore capace di attenzione verso tutto quello che sta succedendo nel mondo, con una responsabilità, una chiamata di Dio a non starsene rinchiusi: «Il Papa ha parlato del cancro dell’indifferenza e di essere invece capaci, nel nome di Dio, di assumerci la responsabilità di costruire un mondo diverso di giustizia e di pace».

di Francesco Dal Mas – Avvenire

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