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Settimane sociali 50° edizione

La Diocesi di Ischia ha partecipato all’evento che si è svolto a Trieste dal 3 al 7 luglio

«Libertà è partecipazione» amava dire con la sua musica – e forse in modo lungimirante – il maestro Giorgio Gaber. È infatti un rischio poter pensare di sentirsi veramente liberi senza tener conto dell’esercizio della partecipazione, a cui tutti siamo chiamati ogni giorno.

Non è un caso se l’affermazione proposta da Gaber sia riuscita bene a declinarsi e unirsi con il tema scelto per questa 50ª settimana sociale: «Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro». L’intreccio di queste parole ha costituito di fatto il leitmotiv dei cinque giorni di incontro, scambio e formazione nella città di Trieste, vedendo coinvolti più di mille delegati provenienti da diocesi, associazioni, movimenti e realtà concrete (cosiddette buone pratiche). In questo scenario era presente anche la Diocesi di Ischia, rappresentata dall’ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro e dal Progetto Policoro; in particolare, nelle persone di Giuseppina Trani – co-direttrice di PSL – e di Andrea e Sara, come giovani impegnati al servizio della Chiesa isolana. Insieme con loro, ha preso parte all’evento una rappresentanza del circolo «Laudato si’», realtà interdiocesana che abbraccia le diocesi di Ischia e di Pozzuoli.

Il capoluogo triestino, da sempre terra di frontiera e di confine, è rimasto pienamente fedele alla sua originaria vocazione quale crocevia di culture ospitando, in forme diverse, un vero e proprio laboratorio della partecipazione, rivelandosi dunque una cornice davvero significativa per le Settimane Sociali. Le sue storiche piazze, rievocanti il periodo asburgico, congiuntamente al suo affascinante golfo che insegna a guardare al di là dei confini, sono stati il luogo vivo delle Piazze della Democrazia, dei Villaggi delle buone pratiche e delle Tavole Rotonde. Tali eventi pubblici, proposti e aperti altresì all’intera cittadinanza, si sono mostrati come una ulteriore possibilità di coinvolgimento attivo e di scambio reciproco. Il “confine” allora non è più sinonimo di barriera o di separazione, ma si trasforma in mescolanza di relazioni in cui gli incroci diventano incontri autentici.

A preparare la strada e a indirizzare i lavori durante la cerimonia di apertura le parole del presidente della CEI, il cardinale Matteo Zuppi. Quest’ultimo ha sottolineato come «non c’è una democrazia senza un noi»: la democrazia infatti non può rimanere un concetto astratto, ma deve incarnarsi nelle azioni quotidiane che promuovono la dignità umana, la giustizia sociale e il benessere per tutti i cittadini. Dunque è necessario che anche i cattolici si sentano partecipi di tale processo di umanizzazione, non come una lobby difensiva di interessi particolari, ma come promotori di un bene comune che abbraccia ogni persona senza distinzioni di sorta. «I cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro. Anche, per questo, dobbiamo essere più gioiosamente e semplicemente cristiani, disarmati perché l’unica forza è quella dell’amore», ha dichiarato il card. Zuppi, aggiungendo con profonda speranza «soprattutto vogliamo esprimere tutto l’amore di cui siamo capaci per il nostro Paese. Amiamo l’Italia e, per questo, ci facciamo artigiani di democrazia, servitori del bene comune». Il suo discorso ha racchiuso in sé il senso più profondo delle Settimane Sociali, vale a dire il desiderio che quest’ultime possano incarnare una possibilità reale di riflessione e di condivisione su temi cruciali per la società contemporanea. Restituire tale dimensione significa puntare ad un impegno sociale concreto e orientato al servizio della comunità, nel tentativo di tradurlo in risposte e azioni tangibili sui territori.

In particolare, la cinquantesima Settimana Sociale si è aperta con la speciale presenza e le parole incisive del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale ha messo in guardia contro l’assolutismo della maggioranza e ha evidenziato l’importanza di una democrazia che non si esaurisca nelle sue norme di funzionamento, ma che si realizzi concretamente nella vita quotidiana dei cittadini, garantendo la tutela dei diritti di tutti. «Ogni volta si riparte dalla capacità di inverare il principio di eguaglianza, da cui trova origine una partecipazione consapevole. Perché ciascuno sappia di essere protagonista della storia. Don Lorenzo Milani esortava a “dare la parola”, perché “solo la lingua fa eguali”. A essere, cioè, alfabeti nella società. La Repubblica ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue Istituzioni non si esaurisce mai», ha affermato con forza Mattarella. Quanto dichiarato richiede tuttavia uno sforzo congiunto, capace di educare anche i più giovani nel dialogo e nella difesa di valori che da sempre appartengono alla storia e alla cultura del nostro Paese. «Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della “alfabetizzazione”, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea. Ebbene, battersi affinché non vi possano essere più “analfabeti di democrazia” è causa primaria e nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme». Queste parolerichiamano allora a uno stile – non lontano dalla Chiesa di questo tempo – quello della sinodalità, che chiede sempre più di non lasciare indietro nessuno e imparare l’arte di saper stare al passo dell’altro perché democrazia significa prendersi a cuore il bene di tutti. Come cattolici siamo chiamati a camminare insieme non solo nella nostra Chiesa, ma anche con la società e con il mondo seppur nella loro evidente complessità; essere cioè segni di speranza e artigiani di una nuova umanità che danno concretezza al Vangelo.

Le Settimane Sociali non si sono limitate tuttavia a un dibattito teorico, ma hanno favorito l’incontro e lo scambio di esperienze tra i partecipanti. Durante le giornate di Trieste, come delegati, si è avuta l’opportunità di confrontarsi insieme a tante realtà su diverse tematiche, tra cui i giovani, le povertà, la transizione digitale, la formazione, l’ambiente e la politica.

Dopo una prima parte riservata all’ascolto di specifici interventi da parte di diversi relatori, che hanno contribuito con le loro riflessioni a sollevare importanti osservazioni, l’altra parte della mattinata – così come una parte del pomeriggio – è stata destinata ai laboratori. Tale modalità di partecipazione, messa a punto attraverso il cosiddetto «metodo Grandi», ha rappresentato un momento di confronto e di dialogo aperto tra i delegati davvero importante. La ricchezza e la diversità di ciascuno ha prodotto una semina di idee e progetti concreti, nella speranza che le strade delineate generino un impatto reale sulle politiche locali e nazionali. Un clima di fraternità, nella voglia di creare sinergie vere e visioni comuni, ha accompagnato così i tanti gruppi di lavoro. Altri temi tra cui la giustizia sociale, l’innovazione del welfare, la sostenibilità ambientale, la centralità delle famiglie e della scuola, l’accoglienza e l’integrazione, la cura e valorizzazione degli strumenti di partecipazione alla vita democratica – nello specifico l’intelligenza artificiale, la salute, la conversione ecologica, le periferie, le carceri, l’economia civile, la pace, la cittadinanza attiva, l’Europa – sono stati al centro di tavole rotonde, workshop, delle Piazze della Democrazia e di discussioni informali, creando un ambiente ricco di idee e proposte. Nei laboratori come nelle piazze sono maturati intenti e finalità, rimettendo al centro – al cuore, per citarne lo slogan – le persone, la fraternità, l’impegno, la responsabilità; il tutto alla ricerca di una salda condivisione.

Non poteva di certo mancare la presenza di Papa Francesco che, nella sessione conclusiva dei lavori attraverso un discorso rivolto ai delegati prima, e, successivamente, attraverso la celebrazione della santa Messa in piazza Unità d’Italia, ha chiuso questa cinquantesima Settimana Sociale. «Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, queste polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide. Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte», ha dichiarato Papa Francesco,perché «se il processo sinodale ci ha allenati al discernimento comunitario, l’orizzonte del Giubileo ci veda attivi, pellegrini di speranza, per l’Italia di domani». Il Pontefice ha terminato il suo intervento ribadendo e riconsegnando la vera missione pastorale a cui tutti i cristiani devono sentirsi impegnati: «questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro. Senza speranza, saremmo amministratori, equilibristi del presente e non profeti e costruttori del futuro».

 «Al cuore della democrazia» allora si può tradurre come la «democrazia nel cuore», da avere a cuore. I cattolici lo hanno scelto con la consapevolezza di un bene da tutelare. Il rischio è il disinteresse, il lasciar fare ad altri ma, come ribadito da papa Francesco: «L’indifferenza è il cancro della democrazia». Non si tratta tanto di nostalgie partitiche quanto della necessità di ritrovare uno spirito, che non è di rappresentanza se non è di servizio e non è di servizio se non è concretamente impegnato in quel bene comune da non lasciar spegnere in un vessillo stinto, o slogan vuoto, ma che al contrario sempre deve costituire quell’imperativo morale che ogni scelta, ogni passo sottende.

Il tema della democrazia al cuore non si esaurisce certamente con la conclusione dell’evento. Come delegati diocesani siamo chiamati ad impegnarci per continuare il lavoro di condivisione delle esperienze sui temi concreti legati ai territori, con una visione d’insieme nazionale, europea e internazionale. Questo impegno comprende anche l’assunzione dei processi, degli obiettivi e dei metodi emersi a Trieste, declinandoli nelle politiche territoriali per il bene non solo della nostra Chiesa ma anche della nostra comunità.

E allora sì a una democrazia che sieda in parlamento ma che pure sappia camminare per strada, chinarsi sui problemi, accogliere chi bussa non solo dentro i confini ma dentro un processo inclusivo.

Andrea Di Meglio e Sara Costa

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