Il 6 agosto 1964 veniva pubblicata “Ecclesiam suam”, in cui il Pontefice bresciano sottolinea come nessuno sia estraneo al cuore della Chiesa o risulti indifferente al suo ministero
Il 4 dicembre 1963 si concluse la seconda sessione del Concilio Vaticano II presieduta da Paolo VI, dove furono discussi, oltre agli schemi sulla Vergine Maria, anche quelli sul ministero dei vescovi, sull’ecumenismo e sulla libertà religiosa, la costituzione liturgica e i mezzi della comunicazione sociale e quello sulla Chiesa, dove rimasero controversi la collegialità e il diaconato permanente. Il 6 agosto del 1964 papa Montini, nel periodo dell’inter-sessione verso il terzo periodo conciliare, offrì la sua prima enciclica – dal titolo Ecclesiam Suam -, che sarebbe divenuta una bussola per il Concilio. Il tema sulla Chiesa era già stato suggerito proprio da Montini nella lettera inviata al segretario di Stato, il cardinale Amleto Giovanni Cicognani il 18 ottobre 1962, perché fosse inserito tra i temi del Concilio assieme a quello dell’unità dei cristiani. L’intento di Paolo VI non era quello di bypassare la discussione dei Padri del Concilio, ma di offrire all’intera comunità cattolica, ai teologi ed ai pastoralisti una nuova mens per la Chiesa che «Gesù Cristo ha fondato» affinché Essa nel mondo «sia allo stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza» (Ecclesiam Suam n.1).
Papa Montini intende continuare nel solco “dell’aggiornamento” di Giovanni XXIII, annunciato nel discorso di apertura della prima sessione conciliare dove papa Roncalli sottolineava che «in questo tempo presente la Chiesa preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore» (Giovanni XXIII discorso Gaudet Mater Ecclesia n.7/2). Proprio nella continuità dell’«aggiornamento» auspicato dal suo predecessore, Paolo VI chiede alla Chiesa un triplice impegno:
1. «Approfondire la coscienza [che la Chiesa deve avere] di se stessa… la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale, …affinché il mistero nascosto da secoli in Dio sia manifestato per mezzo della Chiesa (Ef 3,9-10)» (Ecclesiam Suam n.10).
2. Realizzare «un bisogno generoso e quasi impaziente di rinnovamento … cioè il dovere odierno della Chiesa di correggere i difetti dei propri membri e di farli tendere a maggior perfezione» (Ecclesiam Suam n.12).
3. Scegliere il senso «del dialogo fra la Chiesa ed il mondo moderno… Una parte di questo mondo… ha subito profondamente l’influsso del cristianesimo e l’ha assorbito intimamente più che spesso non si avveda d’esser debitore delle migliori sue cose al cristianesimo stesso, ma poi s’è venuto distinguendo e staccando, in questi ultimi secoli, dal ceppo cristiano della sua civiltà; e un’altra parte e la maggiore di questo mondo, si dilata agli sconfinati orizzonti dei popoli nuovi» (Ecclesiam Suam nn. 14-15). Paolo VI consegna questo triplice impegno alla Chiesa, maggiormente pregno dello spirito cristico, che deve avere nel cuore il desiderio di santamente «compromettersi» con le fatiche dell’umanità per la ricerca di un «assiduo ed illuminato zelo per la pace» (Ecclesiam Suam n.16), di un interiore rinnovamento spirituale dalla liturgia alla vita cristiana di ciascun membro del Popolo di Dio, senza trascurare di annunciare Cristo, di fare in modo che la Chiesa si faccia parola, si faccia messaggio, si faccia colloquio (Ecclesiam Suam n. 67). Ecco l’«aggiornamento» da realizzarsi nei confronti di ogni situazione: ascoltare, dialogare, rimanere con la carità nella verità. Questo è il dialogo auspicato da Paolo VI e consegnato al Concilio ed alla Chiesa affinché esso possa essere proprio dell’arte dell’apostolato che comporta in sé certamente dei rischi. Paolo VI ne è consapevole e così lo sottolinea: «La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede» (Ecclesiam Suam n. 91).
Fatti salvi questi principi papa Montini, dopo aver sottolineato il primato insostituibile dell’annuncio (Ecclesiam Suam n. 93-94), indica i destinatari di questa «Chiesa che si fa colloquio» affermando apertamente che «Nessuno è estraneo al suo cuore. Nessuno è indifferente per il suo ministero. Nessuno le è nemico, che non voglia egli stesso esserlo… La Chiesa avverte la sbalorditiva novità del tempo moderno; ma con candida fiducia si affaccia sulle vie della storia, e dice agli uomini: io ho ciò che voi cercate, ciò di cui voi mancate. Non promette così la felicità terrena, ma offre qualche cosa – la sua luce, la sua grazia – per poterla, come meglio possibile, conseguire… La Chiesa ha un messaggio per ogni categoria di uomini: lo ha per i bambini, lo ha per la gioventù, lo ha per gli uomini di scienza e di pensiero, lo ha per il mondo del lavoro e per le classi sociali, lo ha per gli artisti, lo ha per i politici e per i governanti. Per i poveri specialmente, per i diseredati, per i sofferenti, perfino per i morenti. Per tutti» (Ecclesiam Suam n. 98-99).
Il messaggio dell’Ecclesiam Suam non solo è stato raccolto dai Padri Conciliari nelle costituzioni, nei decreti e nelle dichiarazioni, ma anche dai Successori di Paolo VI nel ministero petrino e ciascuno ha dato a questa svolta del dialogo il criterio ecclesiale quale nuova sensibilità per l’evangelizzazione e non solo come nuovo metodo sinodale. Giustamente, come disse il cardinale Paul Poupard, Paolo VI fu il Pontefice che profondamente sentì la responsabilità dell’attenzione da parte della Chiesa alle gioie e ai drammi del mondo moderno da vero Buon Samaritano.
di Ettore Malnati – Avvenire