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“Ascolta Israele… Ascoltaci Signore”

Anno della preghiera

La Liturgia della Parola è costituita da due pilastri strutturali nei quali due differenti soggetti si alternano nell’atto del parlare e in quello dell’ascoltare. C’è prima di tutto un momento in cui è Dio che parla al suo popolo. La sua Parola, che scende giù da cielo per raggiungere le storie degli uomini (cfr. Is 55,10-11), è creatrice e dona vita, mostra la fedeltà divina e parla all’oggi della storia, incoraggia l’impegno nel mondo e sostiene il cammino verso la Gerusalemme del cielo. A questo movimento discendente ne segue, conseguenzialmente, uno ascendente, nel quale Dio si mette in ascolto della supplica della comunità orante, che presenta davanti al trono dell’Altissimo i suoi desideri di pienezza, i suoi bisogni autentici e le sue preoccupazioni maggiori.
In questo incontro tra parole donate da Dio all’uomo e parole consegnate dall’uomo a Dio, trova significato e spessore la preghiera dei fedeli, posta al termine della liturgia della Parola e proiettata verso la liturgia eucaristica.

Le prime testimonianze di questo elemento di intercessione, che ha la sua radice nel precetto paolino di rivolgere a Dio domande, suppliche e preghiere per tutti gli uomini (cfr. 1Tm 2,1-2), le rintracciamo nelle descrizioni del raduno liturgico nel giorno del Signore di Giustino, Tertulliano, Ippolito di Roma e altri autori della letteratura cristiana antica. I loro scritti ci attestano la presenza, all’interno del convito eucaristico, di preghiere che la comunità rivolge a Dio a conclusione della proclamazione della Scrittura e prima dell’anafora. Se gli scritti dei Padri ci testimoniano la presenza, la collocazione e il contenuto della preghiera di supplica, le fonti successive ci permettono di rilevare come questo elemento rituale gradualmente sia caduto in disuso.

Sarà compito del Concilio vaticano II riscoprire la preghiera dei fedeli.

Nella Costituzione sulla Sacra liturgia, infatti, si determina: “dopo il Vangelo e l’omelia, specialmente la domenica e le feste di precetto, sia ripristinata la ‘orazione comune’ detta anche ‘dei fedeli’, in modo che, con la partecipazione del popolo, si facciano speciali preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo” (Sc 53).

Le sobrie indicazioni di Sacrosanctum Concilium sono approfondite dall’Ordinamento generale del Messale romano che, ai numeri 69-71, offre una presentazione sintetica del significato della preghiera universale. Le premesse al Messale precisano che attraverso la preghiera dei fedeli “il popolo, risponde in certo modo alla parola di Dio accolta con fede e, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti. È conveniente che nelle messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che portano il peso di varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo” (Ogmr 69).

Il compito della preghiera dei fedeli è quello di dare spazio all’invocazione collettiva della comunità orante che, nutrita dalla Parola, ascoltata e accolta con fede, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti e si prepara al gesto eucaristico. Dal punto di vista strutturale la preghiera universale è guidata da colui che presiede il quale ha il compito di introdurla con una breve monizione e di concluderla con un’orazione (cfr. Ogmr 71).

La pedagogia dell’Ecclesia orans ci insegna che l’invocazione dell’uomo deve essere ampia, universale e in rapporto alle situazioni. Le intenzioni della preghiera dei fedeli, pertanto, vanno poste in rapporto diretto con la vita e con i bisogni della comunità, per dare eco all’hodie della storia della salvezza e a quanto lo Spirito suggerisce in rapporto alla Parola e alla vita, alla sete di infinito e alle preoccupazioni del frangente presenti nel cuore di ogni viandante sulla terra, alla relazione che si istaura tra la libertà paterna di Dio e la libertà filiale dell’uomo. Per queste ragioni le intenzioni elevate dall’assemblea non devono essere artificiose, astratte, moraleggianti, ma devono muoversi tra la Parola proclamata, che si fa comune preghiera, e l’attualità pastorale e sociale che emerge alla coscienza del popolo di Dio (Cfr. Orazionale per la preghiera universale, premessa, n. 5).

di Alberto Giardina – Ufficio Liturgico nazionale

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