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L’educazione all’amore

Sono le famiglie stesse le prime depositarie del compito di educare i figli a cosa significhi essere famiglia

“«Spes non confundit», «la speranza non delude»” (Rm 5,5), così – citando la Lettera ai Romani – Papa Francesco ha aperto la Bolla di Indizione del Giubileo che vivremo nel corso del prossimo anno. È appassionato l’invito del pontefice affinché i cristiani, nell’anno giubilare, riconfermino la loro identità, condividendo il dono della Grazia battesimale e si rendano testimoni credibili e con segni concreti di una speranza fondata su Gesù Cristo stesso e la sua promessa di salvezza, così da incoraggiare tutti gli sfiduciati e gli impauriti di cuore di fronte alle tante difficoltà e sofferenze che la vita indistintamente riserva. Scrive il Papa: “attraverso il buio si scorge una luce: si scopre come a sorreggere l’evangelizzazione sia la forza che scaturisce dalla croce e dalla risurrezione di Cristo. E ciò porta a sviluppare una virtù strettamente imparentata con la speranza: la pazienza.

Siamo ormai abituati a volere tutto e subito, in un mondo dove la fretta è diventata una costante. Non si ha più il tempo per incontrarsi e spesso anche nelle famiglie diventa difficile trovarsi insieme e parlare con calma. La pazienza è stata messa in fuga dalla fretta, recando un grave danno alle persone. Subentrano infatti l’insofferenza, il nervosismo, a volte la violenza gratuita, che generano insoddisfazione e chiusura” (n.4). Ci siamo chiesti perché non rivisitare il mistero grande della famiglia alla luce di queste parole. Ripercorrere le diverse tappe della vita matrimoniale, dal fidanzamento, all’età anziana, sviluppando e approfondendo le tante tematiche connesse all’amore umano reso fecondo proprio da virtù quali la speranza e la pazienza. Lo stesso Papa evidenzia come “nell’epoca di Internet, dove lo spazio e il tempo sono soppiantati dal qui ed ora, la pazienza non è di casa”.

E, iniziando a rivolgere la nostra attenzione a ciò che caratterizza oggi le coppie che avviano un rapporto sentimentale affiora proprio la tendenza a restare in superficie, ad accontentarsi di soddisfare istinto ed emozioni fugaci, a godere dell’attimo, rinunciando il più possibile ad ogni forma di progettualità. Una logica di consumo e di soddisfacimento dei propri bisogni primari che, di fatto, sottende un criterio egoistico, di possesso. Dà sicurezza poter dire di avere la propria ragazza o ragazzo, ma si sta insieme finché dura, finché entrambi si appaga il proprio desiderio, mentre passare dall’attrazione reciproca, dallo sviluppo di sentimenti autentici e alla costruzione di un amore necessita di tempo, di cura. Se all’epoca di chi oggi è anziano si arrivava ad essere “fidanzati in casa” nell’imminenza delle nozze e il rischio era quello di sposarsi senza essersi potuti effettivamente conoscere a sufficienza; oggi, invece, le coppie più giovani non trovano e forse neanche cercano molto la stabilità e quelle che ottengono una prima autonomia economica vanno a convivere, ma senza che questo comporti necessariamente la scelta condivisa di intraprendere un percorso di discernimento affinché quella storia possa essere “per sempre”.

D’altro canto, quando un innamoramento superficiale svanisce, vediamo come questo crei squilibri e quanta violenza possa generarsi. Può sembrare un’espressione ardita ma non bisognerebbe mai decidere di sposarsi finché si è ancora innamorati, cioè in balia di una passione che può accecare e impedire di conoscere l’altro nella sua complessità, fatta anche di limiti e debolezze. È necessario far maturare le condizioni perché la coppia vada alla scoperta delle ragioni profonde del suo amore, riconosca in quell’incontro i presupposti di una fecondità che valorizzi appieno i talenti reciproci, dia sostanza, nella libertà, ad un progetto capace di mettere radici solide, che reggano alla prova del tempo e delle intemperie. Non è un’impresa facile che si improvvisa o si possa eseguire leggendo un qualche manuale di istruzioni preconfezionato.

L’educazione all’amore passa soprattutto attraverso la trasmissione fra le generazioni di energie, atteggiamenti, idee e valori. In tal senso è bello richiamare l’espressione cara a Giovanni Paolo II “famiglia diventa ciò che sei”: sono le famiglie stesse le prime depositarie del compito di educare i figli a cosa significhi essere famiglia. Piante che generano sempre nuovi frutti che a loro volta creeranno altra vita. È questa l’avventura che ancora desideriamo raccontare, come in una lunga escursione in cui, al di sopra delle luci e delle ombre, le famiglie cristiane possano davvero essere protagoniste nella costruzione del Regno di Dio e sempre più segno di speranza per il mondo.

di Giovanni M. Capetta – Sir

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