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Una santità per l’incontro

Il 23 maggio, Papa Francesco ha approvato la canonizzazione dei “Martiri di Damasco”: otto frati minori francescani di rito latino, Emanuele Ruiz e sette compagni, e tre laici di rito maronita, i fratelli Massabki. Uccisi “in odio alla fede” nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1860, sono stati beatificati da Papa Pio XI il 10 ottobre 1926. Il 17 dicembre 1885 fu avviato il processo per la beatificazione solo dei francescani. Quando fu fissata la data del 10 ottobre per la beatificazione, l’episcopato maronita, legato alla Chiesa di Roma, e l’arcivescovo di Damasco presentarono a Papa Pio XI un’istanza urgente per riconsiderare la causa dei fratelli Massabki, in modo che fossero accomunati nella santità ai frati minori come lo furono nella vita e nel martirio. Papa Pio XI con un gesto rimasto unico nella storia dell’allora Congregazione dei Riti, riconoscendo legittima la richiesta, dispose un processo sommario sulla vita e sulla morte di Francesco, Abdel-Muti e Raffaele Massabki. In Siria e in Libano furono svolte le indagini e raccolte le dovute testimonianze. Il 7 ottobre, Papa Pio XI, viste le prove raccolte e concedendo la dispensa dai miracoli prescritti, firmò il decreto per la loro beatificazione insieme agli otto francescani.

A distanza di quasi un secolo, i martiri di Damasco sono un esempio di ecumenismo a cui ispirarsi per collaborare tra i diversi riti all’interno della Chiesa cattolica e tra le diverse Chiese, ma soprattutto un segno di speranza per la presenza cristiana in Siria, piccola ma significativa, perché possa trovare vie di dialogo fecondo e di convivenza pacifica con l’Islam. Proprio il dialogo, mi sembra, può dare significato alla santità di questi martiri “per mano” dei musulmani.

Le vicende storiche che fanno da sfondo al martirio sono essenzialmente politiche. Le persecuzioni contro i cristiani in Libano e a Damasco tra il 1859 e il 1860, con oltre 20.000 vittime, sono state la conseguenza del fanatismo religioso e politico dei Drusi e di alcuni gruppi che non condividevano le riforme e la modernizzazione allora in atto nell’Impero ottomano, attribuendone le cause all’influenza delle potenze europee e ritenendone complici i cristiani locali. In quel contesto di conflitto, comunque, non sono mancate la solidarietà e la protezione dei musulmani verso i cristiani. Esempi di umanità condivisa, come quello dell’Emiro Abd al-Qadir (vedi articolo alla pagina successiva) e di tanti altri musulmani, i quali anche a rischio della vita in quei giorni di violenza salvarono migliaia di cristiani, possono insegnarci la convivenza nel pieno rispetto delle diversità religiose.

La canonizzazione dei martiri di Damasco, allora, può essere compresa nella prospettiva di dialogo con l’Islam che Papa Francesco ha saputo proporre in questi ultimi anni: dalla canonizzazione dei martiri d’Algeria (8 dicembre 2018), alla Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza universale (4 febbraio 2019), al viaggio apostolico in Iraq (marzo 2021) e al conferimento dell’onore degli altari a Charles de Foucauld (15 maggio 2022). Ricordando in ogni momento quanti, cristiani e musulmani insieme, in anni a noi vicini sono stati vittime della ceca violenza fanatica dell’ISIS o di altri movimenti politici integralisti a qualunque ideologia religiosa ispirati, perché la violenza non porta il nome di Dio.

Così, nell’icona esposta nel 2018 a Orano nella Cattedrale di Notre-Dame de Santa Cruz, i 19 martiri algerini erano ‘scritti’ insieme al giovane Muhammad che, per amicizia e rispetto, decise di restare accanto al Vescovo di Algeri Pierre Claverie e ne condivise la sorte. Tutti questi martiri sono santi per l’incontro con l’altro musulmano (o di qualunque fede) e non santi per lo scontro tra le diversità religiose o culturali. Vi è qui una santità “condivisa” con l’Islam, una santità grazie all’Islam e non per colpa dell’Islam.

Restano impresse le parole del testamento di Christian de Chargé sul suo desiderio di “immergere lo sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi fi gli dell’Islam come lui li vede” e incontrare così quell’ “amico dell’ultimo momento” che ha agito senza sapere quel che faceva. Il rischio che corriamo spesso, invece, è di alimentare il risentimento tenendo lo sguardo e il pensiero più sulle mani del boia, del torturatore, del persecutore anziché sul cuore e la fede delle vittime il cui sacrificio ha senso solo nella prospettiva universale (quindi, anche ecumenica e interreligiosa).

Proprio il sacrificio gratuito della vita fa sì che quelle mani siano già perdonate (“perché non sanno quello che fanno”, Luca 23, 34) e nello stesso tempo esso diviene segno per i popoli: “di me sarete testimoni (μάρτυρες, martiri) … fino ai confini della terra” (Atti1, 8). Testimonianza-martirio che è fonte di salvezza per tutte le genti, ogni uomo e ogni donna.

Il martirio è battesimo dell’umanità intera nel sangue, testimonianza di unità universale, salvezza anche di coloro che sono diversi nella fede, nella cultura, nel colore della pelle. Il martirio diviene battesimo (purificazione, perdono e, quindi, salvezza) dell’altro nell’amore che Dio nutre per ogni creatura, per la sua religione, per la sua cultura, per il colore della sua pelle. Come il martirio del musulmano in odio alla sua fede diviene salvezza per i cristiani, per gli ebrei e per tutti i popoli.

di Gian Maria Piccinelli – Dipartimento di Scienze Politiche Università della Campania L. Vanvitelli Da Il Poliedro

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