Login

Lost your password?
Don't have an account? Sign Up

Il sogno di Dio nello sguardo dei bambini

Commento al Vangelo Mc 10,2-16

Bianco o nero, destra o sinistra, sopra o sotto. Purtroppo, noi siamo abituati a pensare così; siamo abituati a categorizzare le cose, a far rientrare le cose nei casi che riconosciamo; purtroppo anche le persone. Se questo serve per dare quietanza alla nostra coscienza, per Gesù non è così. È il caso del Vangelo di oggi: la questione spinosa del divorzio.

A Gesù viene posto un quesito assolutamente maschilista, sessista; i contemporanei di Gesù attribuirono a Mosè questa legge (anche Mosè era divorziato), cioè i maschi a quel tempo se volevano rimandare a casa la moglie anche per una stupidaggine (come il non saper cucinare o se la donna aveva scoperto in pubblico i capelli o era intervenuta senza essere interrogata), potevano farlo. Questo, purtroppo, è frutto come in altre culture dello sbilanciamento che storicamente si è venuto a creare fra il maschile e il femminile.

Gesù risponde a questo problema dicendo: «Voi fate pure quello che volete ma Dio non l’ha pensata così, il sogno di Dio è ben diverso!». Il sogno di Dio ci viene proposto nel bellissimo racconto della Genesi: la creazione della donna. Esso termina con questa bellissima espressione che Gesù riprende nella sua risposta: «Perciò l’uomo lascerà la sua famiglia, suo padre e sua madre, si attaccherà alla sua donna e i due saranno una carne sola». Dio ha un sogno nelle relazioni che consiste in un triplice movimento. Il primo è lasciare la propria idea di famiglia, quello che abbiamo in testa; tutti noi proveniamo da un padre e da una madre e vogliamo imitarli o discostarcene completamente. No! Lascia stare! Il secondo movimento è attaccarsi, cioè, avere una relazione profonda di affetto, di condivisione con l’altro; il terzo è condividere la nudità. Sapete che la carne nella Bibbia non ha nulla a che fare col sesso; questo è un po’ la fissazione di noi cattolici. La carne nella Bibbia e nell’Antico Testamento indica la parte debole, la parte fragile.

Questo significa che il modo per imparare a conoscere l’altro è ammettere che non ne sappiamo nulla; il modo per imparare a conoscere noi stessi e gli altri è quello di ammettere che esiste una fragilità che non possiamo colmare. Ecco allora che questa prima splendida narrazione di quello che sono l’uomo e la donna nella Bibbia ha già un po’ tutto, contiene il fatto che il maschile e il femminile si cercano e si integrano, mantengono la loro diversità, sono contrapposti, non uno sotto l’altro come l’uomo vorrebbe fare, ma uno di fronte all’altro, quindi, con una diversità di vedute finalizzata però a tornare all’unità in colui che ci ha creato. Per Gesù, allora, non è accettabile ridurre questa relazione, questo mistero, questo stupore, questo sogno a regola, a via d’uscita, a scappatoia, a “è giusto” e “non è giusto”, “è lecito” o” non è lecito”. Gesù sembra dirci: «è difficile essere coppia oggi, è difficile uscire dal pantano della regola, la coppia regolare o irregolare, giusto non giusto eccetera, ma ti propongo un altro livello». Dunque, dentro la Scrittura non c’è questa forte idea di casistica ma semplicemente bisogna chiedere a chi inizia una relazione se vuole lasciarsi affascinare dal sogno di Dio perché è possibile vivere una relazione che ci porta a fare esperienza di Dio nella gioia della diversità di quello che siamo. Come vivere questo sogno? Come vivere le relazioni? Per fare questo Gesù di nuovo ci propone il modello dei bambini: «A chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio».

Un bambino solitamente usa lo stupore, non il possesso. Gli adulti cercano sempre un utile nelle cose, i bambini invece godono delle cose. Gli adulti perdono tanto tempo a commentare le proprie cadute, i bambini invece si rialzano. Gli adulti cercano rassicurazioni prima di fare qualcosa, i bambini invece sono ostinati e rischiano. Farsi piccoli significa anche accettare di perdersi e di essere ritrovati, accettare di sbagliare e lasciarsi portare sulle spalle dalla misericordia. Farsi piccoli significa accettare di perdonarsi. Magari Dio ci perdona ma siamo noi a non accettare di aver sbagliato. Un bambino non ragionerebbe mai così, per questo vive meglio. Questo significa farsi piccoli. Dovremmo allora imparare la lezione che ci viene dai bambini nel vivere le relazioni, non tanto nell’essere sprovveduti nel modo di vivere, o ingenui, ma nella capacità di essere semplici, cioè di saper puntare tutto sull’essenziale, su ciò che conta e non su ciò a cui noi diamo solitamente importanza perché preoccupati del giudizio degli altri, di noi stessi e molto spesso anche di Dio. Non si fa molta strada quando ci si sente addosso uno sguardo di giudizio. È la fiducia, la benevolenza, che tira fuori i capolavori. I bambini sanno far tesoro di questo sguardo. Ciò li rende capaci del regno di Dio più di tutti gli altri. Buona domenica!

Condividi su:

Facebook
WhatsApp
Email
Stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*

su Kaire

Articoli correlati

Non ingabbiamo Dio nei nostri schemi!

Omelia del Vescovo Carlo in occasione della festa di S Michele Arcangelo presso le parrocchie omonime in Monterone e S.Angelo Nm 11,25-29; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48 Per la festa dei