“Vita consacrata e relazioni nella Chiesa diocesana” è il titolo della relazione di Mons. Roberto Repole, Arcivescovo di Torino, nominato di recente cardinale da papa Francesco, presentata durante l’Incontro nazionale Ordo virginum tenutosi a Torino.
Il rinnovamento della visione della Chiesa è difficile da sintetizzare, ci ha detto mons. Repole. La visione della Chiesa era molto societaria: una societas perfecta, perfetta perché finalizzata alla salvezza delle anime. Ma era gerarchica. Anche la visione della vita consacrata, in questa prospettiva, spingeva a mettere in evidenza lo stato di perfezione. Nella visione piramidale si era ai punti apicali. Il Concilio Vaticano II ha portato una novità: collocare la Chiesa nell’orizzonte del Mistero di Cristo e il Mistero del Regno di Dio, ossia la manifestazione nella storia del grande progetto di Dio, che è un progetto di salvezza per tutta l’umanità, e che si attualizza in Lui, e nell’orizzonte del Regno di Dio, che con Lui ha incominciato ad attualizzarsi.
La Chiesa è vista come mistero perché vista in relazione a Cristo e in relazione al Regno. Mistero è il grande progetto di Dio che si manifesta nella storia e che non è esauribile dalla nostra ragione logica. La Chiesa è vista come la umanità unificata da Dio e pensata come unificata da Dio in Cristo sin dall’origine; e come l’umanità che è giunta a essere la comunione piena, la fraternità piena delle donne e degli uomini in Cristo alla fine dei tempi. Potremmo dire che c’è all’inizio della Chiesa un inizio che coincide, da questo punto di vista, con l’inizio della Creazione stessa. Alcuni Padri parlano della Chiesa che esiste prima della realtà storica della Chiesa perché è quella umanità pensata da Dio come unita in Cristo da sempre. La Chiesa è anche ciò che rappresenta il compimento della storia umana che è questa umanità dove le donne e gli uomini sono finalmente nella pace eterna, nella fraternità finalmente realizzata. La Chiesa per adesso non è tutta l’umanità. Per adesso è la comunità di coloro che guardano con fede a Gesù Cristo. Per adesso è una porzione dell’umanità. La caratterizza il fatto di essere composta da uomini e donne che guardano con fede a Gesù Cristo, cioè affidandosi completamente in Lui. La Chiesa è mistero nel senso che Gesù Cristo non è visto come il Fondatore di qualcosa che poi è andato avanti per conto suo a prescindere da Lui, come i grandi fondatori di religioni o di società, ma perché Cristo il Risorto è il FONDAMENTO della Chiesa. Togli il Risorto dalla comunità della Chiesa e stai disintegrando la Chiesa. La Chiesa costituisce una unità con Lui che è vivo dentro questa comunità.
La categoria del Popolo di Dio dice l’identità della Chiesa. Il noi precede, per certi aspetti, l’io nella Chiesa a tutti i livelli. La Chiesa è un soggetto co-costituito, cioè costituito da diversi soggetti che lo determinano. Anche la vita consacrata deve pensarsi sempre nell’orizzonte del noi. Il capitolo sul Popolo di Dio, nella Lumen gentium, precede il capitolo sulla gerarchia, sulla vita religiosa, sui laici. Quando pensi ai laici, ai consacrati, ai vescovi e ai preti devi pensarli nell’orizzonte del soggetto del Popolo di Dio che ha un’unica vocazione: la santità, alla quale si è chiamati tutti.
La Chiesa è la comunione delle Chiese tra di loro e in particolare con la Chiesa che è in Roma presieduta dal suo vescovo che è il papa. Le consacrate e i consacrati sono “molto semplicemente” delle cristiane e dei cristiani, cioè delle seguaci e dei seguaci di Gesù Cristo. La loro grandezza e la loro bellezza consistono nella grandezza e nella bellezza di tutte le altre sorelle, di tutti gli altri fratelli cristiani, cioè nell’appartenere a Cristo, nel seguirlo, nel vivere di Lui, nel lasciarsi trasfigurare dallo Spirito di Cristo che continuamente opera in noi per darci la forma di Cristo. La chiamata delle consacrate e dei consacrati è una chiamata alla santità come gli altri. Il luogo è anzitutto la Chiesa locale, la Diocesi, che non è mai tale senza le altre diocesi. Non c’è dignità più grande che l’appartenere a Cristo, essere Suoi e seguirlo nella concretezza della vita. Oggi una grande carenza nella Chiesa è proprio a questo livello. Il nostro essere più profondo è il nostro appartenere a Cristo. E seguirlo sui suoi passi.
Guardando alla vocazione delle consacrate e dei consacrati il Concilio Vaticano II afferma cose antiche e cose nuove. Le cose antiche sono che la vita religiosa continua a essere letta secondo uno schema che si è imposto: dei tre consigli evangelici (castità, povertà e obbedienza). Altra cosa antica è, in contraddizione, di leggere la vita religiosa secondo uno schema di perfezione. Quindi nella Chiesa ci sarebbe anche una imperfezione, il che però farebbe tornare allo schema gerarchico. Ci sono anche delle cose nuove: la vita consacrata non ha a che fare con un sacramento, tuttavia appartiene alla realtà della Chiesa in quanto tale: se togli la vita consacrata stai togliendo qualcosa di essenziale alla vita della Chiesa. Non è poco. Quando si cerca di cogliere lo specifico delle consacrate e dei consacrati lo si coglie nell’indole escatologica. Il proprium sta nella connessione con la dimensione escatologica della Chiesa.
La Chiesa è anche il Corpo di Cristo. La Chiesa è Popolo di Dio in Cristo, appartenendo a Lui e cibandoci continuamente di Lui. C’è un ritmo settimanale di incontro per la Celebrazione Eucaristica che prima di essere un dovere sancito da un codice, è qualcosa che dice il nostro DNA. Noi siamo il Popolo di Dio che diventa tale, di domenica in domenica, nutrendoci del Corpo di Cristo e trapassando in Lui. Direi così: la Chiesa è il Popolo di Dio nella forma del Corpo di Cristo per la potenza, per la forza incessante dello Spirito del Risorto.
La Chiesa è una porzione di umanità che trasfigura in nome del Vangelo le realtà di questo mondo: gli affetti, la famiglia, l’economia, la politica, la scienza. Non è qui il compimento della nostra vita. Camminiamo tutti verso Cristo e camminiamo insieme in una relazione strutturale gli uni verso gli altri. Dovremmo sentirci Chiesa mai senza l’altro per una bellezza di una Chiesa locale. Mantenendo viva la promessa che risorgeremo. Si vivono ancora tante lacrime nella Chiesa. Siamo in attesa della resurrezione di tutti. Mantenendo aperta la drammaticità dell’esistenza umana. Non tutto è ancora sotto la luce della resurrezione. Mantenendo aperto il futuro non come qualcosa che noi uomini potremmo realizzare – il progresso – ma ciò che è frutto dell’intervento grazioso di Dio.
L’escathon non dimenticherà nulla del nostro passato neanche le nostre ferite. Mantenendo la serietà della preghiera nella Chiesa.
di Angela Di Scala