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Le sette piante della terra di Israele: l’Orzo

Terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi di olio e di miele. (Dt 8,8)

La Terra promessa è la terra di latte e miele, terra che dona al popolo ciò di cui ha bisogno, terra che nutre, protegge e custodisce. Nella Bibbia il cibo ha un valore simbolico, rappresenta il bisogno dell’uomo di nutrimento, non solo fisiologico ma anche spirituale. Nutrirsi ha un valore di sacralità, preparare il cibo è un rituale e la tavola è il luogo delle relazioni e dei ricordi: a tavola non ci si siede, la tavola la si abita!

La seconda pianta menzionata nel passo della Bibbia è l’orzo: la sua importanza rituale è evidente nei versetti del libro del Levitico (23, 10-16), dove si racconta che il secondo giorno della Pesach è comandato di portare al Tempio un’offerta di un omer d’orzo e, 49 giorni dopo, la sera precedente alla festa di Shauvot, di un omer di grano. E’ una prescrizione legata al mondo agricolo e attiene a quel rapporto antico tra l’uomo e la terra: l’orzo, maturando prima del grano, segna l’inizio della stagione dei raccolti primaverili, simboli di vita, abbondanza e nutrimento.
Accanto a questo significato, il precetto rivela una narrazione più complessa: il “conteggio dell’omer”, ossia i 49 giorni che intercorrono tra l’offerta dell’orzo e l’offerta del grano, segna il passaggio tra due momenti cruciali della storia del popolo ebraico, l’uscita dall’ Egitto (Pesach) e il dono della Torah sul Sinai (Shauvot).
Ogni ebreo ripercorre questi momenti contando ad alta voce il numero dei giorni e recitando una benedizione (beracka); è un computo particolare perché i giorni non vengono chiamati in ordine decrescente, ma si sommano l’uno all’altro rappresentando, così, le tappe di un movimento, di un cammino. Si tratta di uscire con un atto di coraggio dal proprio vissuto e dirigersi verso un luogo sconosciuto dove costruire la propria libertà e la propria identità. E’ un tempo necessario perché, se da un lato la liberazione da un nemico esterno si risolve nel momento in cui vengono spezzate le catene, dall’altro uscire dalla schiavitù interiore richiede pazienza, attesa, umiltà e disciplina.

Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d.C.), il significato agricolo del conteggio dell’omer rimase solo un ricordo e divenne, invece, fondamentale il suo significato simbolico. Padre Giulio Michelini in un libro molto interessante scritto in collaborazione con G. Gillini e M. Zattoni spiega perfettamente questa simbologia:

In questo tempo si fa il conteggio dei giorni dell’omer (una misura di grano di ca. 2 litri), ovvero dell’offerta d’orzo che doveva essere ripetuta tutti i giorni fino a Pentecoste, ma in realtà ci si prepara a ricevere di nuovo le parole di Dio, date a Mosè sul Sinai, e ora date ad ogni credente che vuole ascoltarle e metterle in pratica. Sarà nella lettura cabalistica che questo periodo tra Pasqua e Shavuot diventerà un vero e proprio percorso di accrescimento spirituale e di liberazione, dove ognuno dei 49 giorni corrisponde a una caratteristica della personalità sulla quale lavorare e che può essere migliorata; l’ultimo giorno, il cinquantesimo, non si può fare più nulla, perché è Dio, con la sua grazia, che agisce e compie l’opera.
G. Michelini, “Tra Israele e i pagani, tra il Sinai e il Sion”, in G. Gillini – M. Zattoni – G. Michelini, Rut. La straniera coraggiosa, San Paolo 2009, pp. 35-97

Nella cucina ebraica l’orzo viene utilizzato in molte preparazioni, in particolare nel Cholent, uno spezzatino che si prepara il venerdì e si consuma durante il pranzo dello Shabbat. Un piatto che appartiene alla tradizione della mia famiglia e che ancora oggi viene preparato una volta alla settimana è invece  “la minestra d’orzo”.

Fonte: Francesca Arnstein – FrateSole.com

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