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Perché sei un essere speciale e io avrò cura di te

QUARESIMA 2021 – IV Lectio Divina

con il Vescovo Pietro

“Va’ e anche tu fa’ così”

Con la quarta Lectio Divina Mons. Lagnese conclude il percorso all’interno della parabola del “Buon samaritano” arrivando a coglierne il cuore centrale, il messaggio fondamentale, lasciandoci scoprire quanto amore Dio sia capace di avere per l’uomo e quanta preoccupazione abbia per la sua condizione.

Punto di riferimento e guida è sempre il samaritano: il suo comportamento e la sua condizione sono chiave di lettura della parabola. Il samaritano rappresenta, tra i personaggi del racconto, la novità, ma anche la stranezza rispetto al pensare comune. I samaritani al tempo di Gesù non godevano di grande stima, il termine stesso “samaritano” era usato come aggettivo dispregiativo per indicare i pagani, i peccatori, coloro che avevano sporcato la loro fede con l’idolatria.

Eppure è proprio lui, e non il sacerdote o il levita, che passa, si ferma e presta soccorso. Egli – precisa Mons. Lagnese – “gli passa accanto”, si mette in quell’atteggiamento di prossimità che è lo stesso di Gesù, quel

lo avuto quando si è avvicinato, con discrezione, ma anche con rispetto, ai due discepoli tristi e delusi sulla via di Emmaus. “Gli passò accanto” dice il testo, soccorre l’uomo colpito dai briganti, pulisce le sue ferite, le fascia e poi lo porta nella locanda affidandolo alle cure del proprietario. 

Mons. Lagnese ha proseguito nella sua analisi entrando nel cuore del racconto, ma facendosi aiutare, come di consuetudine, da un altro brano del Vangelo, un brano “di appoggio” potremmo dire, nel quale emerge un paradigma comportamentale che è speculare alla parabola del samaritano e ci aiuta a comprendere meglio il messaggio che dobbiamo serbare per la nostra vita cristiana: si tratta del noto brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci, dove Gesù, che intendeva appartarsi con i suoi, si ritrova seguito da una enorme folla che attende le sue parole e le sue guarigioni e non lo lascia fino al calare del sole, quando è ormai tardi per tornare a casa e trovare un pasto per la sera.

Gesù non si scompone, non viene preso dall’ansia come i suoi discepoli che vorrebbero risolvere tutto disperdendo la folla. Trova una soluzione, e, con l’aiuto dei discepoli perplessi, si prende cura di tutti e lo fa – ha precisato Lagnese – con affetto e attenzione, facendo in modo che tutti fossero seduti (“a gruppi di cinquanta”) e serviti come si deve (“date voi stessi da mangiare”). Ecco il punto nodale della questione: la cura: «È l’atteggiamento di chi va oltre ciò che è scontato, oltre ciò che va fatto, è la cura di chi considera l’altro parte di sé, e fa agli altri come facesse a se stesso, come se facesse parte della sua stessa vita». Per Gesù non conta solo dare il pane, ma soprattutto “come” il pane viene dato, con quale attenzione e con quale atteggiamento. Nel brano tutti mangiano a sazietà e avanzano dodici ceste di cibo. Particolare non da poco.

La cura, l’attenzione sono il leitmotiv del brano del Vangelo, ma anche della parabola del samaritano. Il samaritano porta l’uomo ferito nella locanda e si assicura che venga accudito con attenzione, paga per le due notti successive, due giorni, due denari, e dice all’albergatore “Abbi cura di lui”, avendo intenzione di ritornare e pagare eventuali spese supplementari. «Devono passare tre giorni, c’è un evidente richiamo alla resurrezione di Cristo e al suo ritorno.

Ma nel frattempo l’albergatore deve vigilare e “fare come ha fatto il samaritano”. Nel testo greco viene qui usato un verbo per indicare la cura che è lo stesso usato per esprimere l’atteggiamento della mamma che si china sul figlio per accudirlo e proteggerlo. Per S. Ambrogio nella etimologia della parola samaritano c’è il termine ‘custode’. Ed è esattamente ciò che lui è: il custode dell’uomo ferito, al punto che la sua cura continua anche in sua assenza. Precisa Mons. Lagnese: «Curioso come noi utilizziamo la parola ‘cura’ per formare termini di uso comune come ‘curato’ per indicare il parroco o ‘cura pastorale’ per l’azione della Chiesa. Ma c’è un motivo: siamo chiamati a sentire nostro il mandato che il samaritano dà all’albergatore». Qui il Vescovo precisa un dato f

ondamentale, la buona notizia, cioè: quel samaritano è Dio: «Dio si china su di noi e ci chiede di lasciarci amare da lui. Noi siamo quell’uomo mezzo morto, ma quell’uomo mezzo morto è anche Gesù che si è lasciato ferire perché dalle sue piaghe noi fossimo guariti. La parabola è invito ad accogliere la buona notizia e diventare capaci di amare e lasciarci amare». Mons Lagnese conclude affermando che la cura è l’arte di Dio ed è anche uno strumento per la nostra divinizzazione, ma è importante quel particolare lasciato in sospeso sugli avanzi, le dodici ceste di cibo che rimangono dopo che tutti sono stati sfamati: esse rappresentano l’eredità di Gesù, i discepoli sono invitati a fare misericordia e ad avere attenzione per la gente allo stesso modo di Gesù. Ecco perché il samaritano non agisce da solo, ma coinvolge l’albergatore, lasciando in eredità il suo esempio.

Avviandosi alla conclusione il Vescovo ha ricordato uno scritto di don Primo Mazzolari, dove egli, di fronte all’impegno cui la parabola del samaritano chiama tutti noi, diceva rivolto al Signore: “Signore non sono buono di fare il samaritano, ma lasciami provare, perché la parabola è impegnativa, ma lasciami provare” e infine ha chiuso citando S. Paolo VI il quale, nella allocuzione dell’ultima sessione a conclusione del Concilio Vaticano II, da lui portato a termine, scrive che la parabola del samaritano è “il paradigma della spiritualità del Concilio.

Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani ha assorbito l’attenzione del nostro sinodo. Dategli il merito di questo almeno, voi umanisti moderni e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo cultori dell’uomo”. Dio ci ama e si prende cura di noi, perché siamo le sue creature, esseri speciali, come ricorda Battiato, ha terminato Padre Pietro.

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