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Correvano insieme tutti e due

Correvano insieme tutti e due

Da Raffaello a Caravaggio, passando per Giotto e Andrea Mantegna, sono tanti i grandi maestri del pennello che, lungo il corso della storia, in occidente, hanno celebrato l’evento della Resurrezione.

A loro si deve il tentativo, certamente coraggioso, di raccontare con il loro genio, ognuno a modo suo, e secondo la sensibilità del proprio tempo, il centro della fede dei cristiani: il Mistero della tomba vuota, le apparizioni del Risorto, la vittoria di Cristo sulla morte. Molte di quelle rappresentazioni ancora oggi risultano agli occhi di tanti certamente affascinanti; tutte ci offrono una loro lettura dell’Evento; di ciascuna possiamo cogliere particolari interessanti.

Ognuno di noi ha, forse, la sua raffigurazione preferita. Se dovessi io indicare la mia, non avrei alcuna esitazione nella scelta, nessun dubbio nel presentare quella più amata. Si tratta di una tela di un autore forse meno noto ma che, a me sembra, in assoluto, abbia saputo parlare meglio di tutti della Resurrezione. L’opera, realizzata nel 1898, è del pittore svizzero Eugène Burnand di cui quest’anno ricorrono i cento anni dalla morte (1850 – 1921).

La tela – forse la sua più conosciuta – in verità non descrive esattamente l’Avvenimento, ma preferisce raccontarlo a partire dai discepoli, provando a dirci in particolare come accolsero l’annuncio della tomba vuota Pietro e Giovanni quel mattino, quando – avvertiti che la pietra era stata tolta dal sepolcro da Maria di Màgdala, che si era recata al sepolcro quando era ancora buio – corsero insieme tutti e due al luogo della sepoltura.

È la pagina del Vangelo di Giovanni (20, 1-9); quella che ogni anno nella Messa del giorno di Pasqua, puntualmente si proclama nelle nostre chiese. Protagonisti della tela sono la corsa e il vento. Mentre le ombre della notte si dileguano, i due discepoli corrono ansimanti. Giovanni, più giovane, benché in corsa, appare tutto raccolto, quasi come se stesse pregando, mentre con gli occhi, teneri e  appassionati, prima ancor di arrivare, sembra già stia vedendo – anzi, quasi adorando – l’amato del suo cuore! Pietro, di poco più dietro, è tutto proteso nell’avanzare; il suo volto mostra i segni dell’età matura e, forse per questo, ha la mano che poggia sopra il cuore: non mi dice quel gesto solo affanno, ma anzitutto amore, che di nuovo gli rinasce dentro; non è la corsa il motivo per cui gli batte forte il cuore, ma è il suo cuore che, all’annuncio della tomba vuota, ha ripreso a battere d’amore, e quel cuore gli dice ora di andare, anzi, di correre e di cercare.

Gli occhi di Simone il pescatore sembrano come persi nel desiderio naturale di ri-cordare: come in un film, pare che gli passino davanti tante immagini: gli incontri col Maestro, quello della prima volta sulla riva del lago, e poi le sue parole, i suoi gesti di guarigione, i segni della sua compassione; le folle, i malati, i peccatori, i suoi annunci della morte ma anche della resurrezione; e poi le accuse, il tradimento e, infine, la cena e la lavanda dei piedi, l’angoscia del Getsemani, e quel canto del gallo che gli torna dentro e che gli parla di una storia che non doveva finire così, e che, come spesso accade per i sogni, è finita invece e, purtroppo, molto presto e, ciò che è peggio, anche assai male.

Avevano sbagliato a sognare: era stata quella, più o meno, la naturale considerazione dei discepoli all’indomani della crocifissione. La loro esperienza con il Nazareno era stata un’avventura bella, unica, semplicemente straordinaria. Ma peccato che i fatti avessero detto tutt’altro, tutto il contrario di quanto annunciato dal Maestro.

Ora però, alla notizia di quella tomba vuota, pare si sia riaccesa una speranza. E se fosse vero? Se fosse veramente risorto? È forse questa la domanda che Pietro e Giovanni, mentre corrono, portano nel cuore. L’opera di Eugène Burnand – lo confesso – mi emoziona: e non poco! Mi aiuta ad andare con il cuore a quel mattino; e a pregare, a pensare a Lui, e alla mia vita; a quella di tanti, a tutti gli umiliati e vinti, a quanti scommisero sulla sua Parola.

E spontaneo, con l’Apostolo Paolo, mi viene da ripetere: se Cristo non fosse risorto… inutile sarebbe la mia fede (cfr. I Cor 15,14); e inutile – mi verrebbe da aggiungere – sarebbe anche la vita. Se Cristo invece è risorto allora tutto cambia! “Da quella mattina – diceva Papa Francesco commentando tre anni fa quella pagina del Vangelo per i giovani italiani – la storia non è più la stessa.

Quella mattina ha cambiato la storia. L’ora in cui la morte sembrava trionfare, in realtà si rivela l’ora della sua sconfitta. Nemmeno quel pesante macigno, messo davanti al sepolcro, ha potuto resistere”. Mi domando – e lo chiedo anche a te: ma noi ci crediamo veramente che è Risorto? La domanda non è un invito alla speculazione. Ha invece a che fare con la vita, e per questo la sua importanza è sostanziale.

Perché, se non è risorto, allora forse è meglio non amare, forse vale la pena di non rischiare, e non schierarsi; e, soprattutto, non sognare. Sarà invece più opportuno farsi furbi. Forse sarà meglio pensare ai fatti nostri, a rintanarci nei nostri orticelli e, se necessario, perfino ad essere omertosi. Faremo bene a non prendere sul serio il Vangelo e a non seguire Gesù! Meglio invece avere paura e… non sperare! Sì, se Gesù non è risorto, allora i sogni sono addirittura pericolosi perché … la vita è un’altra cosa.

Allora, ci crediamo che è Risorto?

Mons. Pietro Lagnese

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