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Guariti per guarire Mc 1,29-39
Commento al vangelo
“E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei”. È bello l’incipit del Vangelo di oggi che collega la sinagoga alla casa di Pietro. È un po’ come dire che la fatica più grossa che noi facciamo nell’esperienza di fede è ritrovare la strada di casa, della quotidianità, delle cose di ogni giorno. Troppo spesso la fede sembra rimanere vera solo nelle mura del tempio, ma non si collega con le mura domestiche. Gesù esce dalla sinagoga ed entra nella casa di Pietro. È lì che trova un intreccio di relazioni che lo mettono nelle condizioni di poter incontrare una persona che soffre. È sempre bello quando la Chiesa, che è sempre un intreccio di relazioni, renda possibile l’incontro concreto e personale di Cristo soprattutto con i più sofferenti. Condividere il Sogno di Dio sta proprio in questo: ridare umanità agli uomini, umanità che Gesù ha assunto e che risplende di una scintilla di divinità. Se volessimo usare una parola che troviamo spesso nei nostri tempi, questa è “prossimità”. Gesù usa una strategia di prossimità nella casa di Pietro. La prossimità ha tre movimenti: gli parlarono di lei, le si accostò e la sollevò. Quanta concretezza in questi tre verbi. La prossimità nasce dall’ascolto: qualcuno parlò a Gesù della suocera di Pietro. Qualcuno ci ha parlato di qualcun altro; qualcuno ci mette a conoscenza che in quella persona c’è qualcosa che non va, ci sono infermità materiali o spirituali che hanno bisogno di essere umanizzate, di essere trasformate da Dio. La prossimità si concretizza nell’azione: Gesù va e si accostò a questa donna. Chi ha fede sa che deve andare, deve muoversi, deve vedere concretamente accostandosi. Spesso vogliamo vivere la fede qui in Chiesa, ma non è così. Gesù ci sta gridando dall’interno: lasciatemi uscire! Infine il terzo movimento della prossimità è sollevare la persona. Gesù offre sé stesso come punto di appoggio in quella sofferenza. Come sarebbe bello che ci offrissimo come punto di appoggio in questa o quella difficoltà. Non si aiuta a distanza, staccando un assegno o mandando il segretario, si solleva offrendo il braccio personale a coloro che sono la presenza di Dio: gli uomini. Il risultato è la liberazione da ciò che tormentava questa donna, e la conseguente ma mai scontata conversione. Infatti ella guarisce lasciando la posizione di vittima per assumere la postura di protagonista: “la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli”. Veniamo guariti per servire gli altri. Se accade un miracolo a qualcuno, se siamo guariti interiormente o fisicamente è per servire gli altri non per ritenerci dei fortunati. Marco dona del dolore una lettura nuova, profetica, sconcertante: il Signore Gesù ci salva dal dolore perché possiamo metterci gli uni al servizio degli altri. In un contesto di dolore e di fatica, spesso l’amicizia e l’affetto dei vicini diventano sorgente di speranza. Il senso della nostra vita è quello di imparare ad amare: in questo neppure il dolore può annientarci. Un altro elemento molto bello che troviamo nel vangelo è quella preghiera silenziosa, notturna di Gesù, che agli occhi dagli apostoli non è passata in sordina. Si, Gesù è andato in sinagoga, prega con le formule ebraiche, segue la liturgia sinagogale ma c’è un ma che non è scontato. È quell’incontro notturno che gli dà autorevolezza. Il segreto dell’autorevolezza di Gesù, che stupisce e affascina, e della sua forza interiore è racchiuso in quella notte insonne passata a pregare il Padre, ad amarlo, a lasciarsi amare. È la forza e la bellezza di tutto: amare e lasciarsi amare dal Padre quando è ancora buio. La gente non lo comprende trasforma Gesù per qualcos’altro. È inevitabile che tutto questo abbia come risultato una sempre e più grande fama, con la conseguente richiesta di guarire i malati. Gesù però non si lascia imprigionare solo in questo ruolo. Egli è venuto soprattutto per annunciare il vangelo: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». Il Vangelo ci fa guardare in profondità. La malattia è segno di una profonda ferita del corpo e dell’anima, di una stonatura nella grande opera di salvezza di Dio, di una discrepanza nella presunta armonia del cosmo. Peggio: al tempo di Gesù molti pensavano che la malattia fosse una punizione divina, l’ammalato, quindi, era giudicato severamente, non compatito. Gesù opera guarigioni per manifestare la presenza del Regno, non è un maghetto, né un santone. Gesù sa che la salute è tanto, ma non tutto. Che più della salute c’è la salvezza. Perché possiamo essere pieni di salute, ma tristi o malvagi. Anche la Chiesa, pur offrendo tutto il proprio aiuto, è chiamata innanzitutto ad annunciare il Vangelo e non a rimanere imprigionata nel solo ruolo caritativo. Buona domenica! Sentiti amato!
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Don Cristian Solmonese
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