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San Benedetto da Norcia Abate, patrono d’Europa

11 luglio (e 21 marzo)

Il pensiero benedettino linfa d’Europa

L’insegnamento di San Benedetto, nato a Norcia intorno al 480 d. C., è una delle più potenti leve, dopo il declino della civiltà romana, per la nascita della cultura europea. È la premessa per la diffusione di centri di preghiera e di ospitalità. Non è solo il faro del monachesimo, ma anche una provvidenziale sorgente per poveri e pellegrini. “Dovremmo domandarci”, scrive lo storico Jaque Le Goff, “a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce”. Una voce su cui si sofferma, nel II libro dei “Dialoghi”, un biografo d’eccezione: San Gregorio Magno Per San Gregorio è “un astro luminoso” in un’epoca segnata da una grave crisi di valori. La sua è una nobile famiglia della regione di Norcia.

Nel luogo dove secondo la tradizione si trovava la casa natale del Santo, è stata costruita la Basilica di San Benedetto. La sua vita, sin dalla gioventù, è scandita dalla preghiera. I genitori, benestanti, lo mandano a Roma per assicurargli un’adeguata formazione. Ma qui, racconta San Gregorio Magno, trova giovani sbandati, rovinati per le strade del vizio. Benedetto allora lascia Roma. Arriva prima in una località, chiamata Enfide, e poi vive per tre anni, da eremita, in una grotta a Subiaco, destinata a divenire il cuore del monastero benedettino “Sacro Speco”. Questo periodo di solitudine precede un’altra fondamentale tappa del suo cammino: l’arrivo a Montecassino. Qui, tra le rovine di un’antica acropoli pagana, San Benedetto e alcuni suoi discepoli costruiscono la prima abbazia di Montecassino.

Così scriveva di lui Papa benedetto XVI nell’Udienza generale del 9 marzo 2008:

San Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontificato. Con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo.

Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presentazione di san Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. È nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”.

Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione.

Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.

Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultura europea.

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