Ode al teatro del tempo prolungato
“Ode al teatro che fu! Teatro di palchi aspettati e solo all’ultimo arrivati; di sipari arrangiati, fatti di lenzuola accostate. Ode al teatro che fu, di quinte improvvisate, tappeti impolverati, di grande sudate, di risate per battute sbagliate, di spillatrici inceppate, di chiodi ricurvi o arrugginiti! Ode al teatro che fu, di scenografie di cartapesta, messe una sull’altra come matrioske russe, sgualcite e strappate, rimesse in sesto e ricucite, stirate come camicie stropicciate! Ode al teatro che fu, di pennellate con colori ad acqua, di stracci che diventano costumi, o di panni comprati al mercato; di pomeriggi di prove in androne, di cambi di scena frettolosi, di caldo asfissiante in sala mensa, per l’occasione un piccolo Mercadante! Ode al teatro che fu, di testi scritti in proprio, di copioni adattati, di parodie esilaranti, di melodrammi strappalacrime, di autori noti o lietamente scoperti; di silenzi imposti dietro le quinte con occhiatacce di professori, bonari carcerieri; di bimbi in sala, che le mamme non sanno a chi lasciarli; di microfoni che non funzionano e le voci non si sentono; di fari colorati che fanno atmosfera! Ode al teatro che si fa in quarantena, al teatro che oggi è; di parti registrate, ognuno a casa sua; di fratelli e sorelle guest star per l’occorrenza; di schermi oscurati e connessioni lente, di scenografie casalinghe, di sguardi a un gobbo improvvisato, perché è inutile imparare a memoria la parte, che nessuno ti vede! Ode al teatro che oggi è, di correzioni al computer senza il piacere dello sbaglio; di montaggio con il software di ultima generazione! Ode al teatro del tempo prolungato, di quello che sarà, di quello che nessuno in fondo sa come sarà! In quali spazi, con quali attori? Ode al teatro del tempo prolungato, quello del futuro quello sì, con tanti colpi di scena! Sarà in androne? Sarà in aula magna? O nella sala mensa ancora, quella che per dieci giorni diventava un piccolo Mercadante? Sarà in un cinema o sarà all’aperto? Sarà dal vivo o registrato, in presenza o in remoto? Chissà come sarà il teatro del tempo prolungato, domani! Ma come sarà sarà, nel profondo di ogni cuore si radicherà la sua memoria. Sarà un alunno o un vecchio prof a ricordarlo sempre, nel tempo che verrà! Perché il teatro, tutti lo sanno, non richiede un palco, una platea o un sipario; basta un angolino di una via, di una piazza o un vicoletto; ci metti dentro uno, due o tre ragazzetti e questi sapranno dar vita allo spettacolino, inventando copioni, creando incredibili situazioni, tessendo fantastiche trame! Così la scopa diventerà un cavallo, un pollice e un indice puntati sarà una pistola; un fazzoletto ora un grembiule ora un copricapo, uno scialle o una tovaglia; e un lenzuolo farà da scena; e da un cartone si tireranno fuori oggetti e fondali! Al teatro del tempo prolungato. C’è bisogno solo di fantasia, di immaginazione e subito si passa all’azione! Non c’è bisogno di altro, al teatro del tempo prolungato. Per cui, come sarà sarà, di sicuro ci sarà! Quel magnifico teatro del tempo prolungato!”
Così il prof. Domenico Castagna, istituzione autentica di un tempo prolungato che oggi appare anacronistico se non antiquato, presentava, l’anno scorso e, imperterrito, quest’anno, la recita di fine anno, che fino al penultimo giorno dalla messa in scena, nessuno sapeva come si sarebbe sviluppata, dove, come e in che modo. Le prove da casa, o dalla pineta per occasionali incontri non voluti o forse sì, chat di classe che infuocavano i cellulari e atterriti prof che in apnea proponevano un copione che non sapevano se mai sarebbe andato in scena e soprattutto come.
Nessuno sapeva tutte queste e tante altre cose, location si o no, collaboratori scolastici, certamente no perché fuori servizio e non rientra tra le competenze, vigilanza, forse, non si sa, autorizzazioni, privacy e varie amenità. Nessuno sapeva di queste cose, ma tutti, ragazzi, professori, genitori, sapevano il perché. Un perché con una sua intensità che si respira da sempre al tempo prolungato, un perché più forte delle limitazioni e delle misurazioni, più urgente di qualunque esame o scrutinio finale o consiglio dei docenti, un perché che profuma di vita, di sudore, di lacrime, di strenui sacrifici e ripetizioni e poi sorrisi e battute e pacche sulla spalla e primi amori, un perché che profuma di mensa, di pastelli di cera, di colla a caldo e di rassegnazione alla stanchezza. Perché la recita di fine anno del tempo prolungato non è una recita, è vita messa in scena e condivisa, è sogno che prende forma, è teatro puro, con teatranti autentici dove ognuno è regista di stesso e comparsa, dove ciascuno partecipa con quel che ha, nel posto in cui sta e con i mezzi che possiede, sostenendo le proprie attitudini ed aspirazioni. Dove c’è posto anche per i propri limiti solo per vedere come superarli. Un perché granitico, senza tema di essere scalfito senza troppo focalizzarsi sulle restrizioni, quali che siano i numeri degli spettatori, i centimetri per le distanze e le tarature delle pistole che misurano la febbre, quali che siano le autocertificazioni, gli orari, e chi fa cosa. Tutti sotto l’insegna del proprio grande, immenso, unico e intoccabile “perché”. Quando si va in scena si è soli, non c’è pubblico, non ci sono riflettori, c’è la personificazione del protagonista e – badate bene – protagonisti lo sono tutti, indistintamente, uno ad uno. Anche gli assenti.
Copione, progetto, idea e piano B, nel caso saltassero i piani di scena. Nel caso atterrasse sulla Terra un meteorite, c’è sempre bisogno di un piano B che alle volte pur essendo B e non A, quindi la prima scelta, salva la vita.
Il piano B è il paracadute di emergenza quando, malgrado tutti i controlli e le attenzioni del caso, quello principale non si apre, il piano B è la rete di protezione che accoglie il trapezista professionista in caso di caduta per una improbabile distrazione; il piano B è il percorso alternativo che si crea quando quello standard trova imprevisti che sbarrano la strada. Il piano B è la resilienza vera, non quella inflazionata di oggi, è l’adattamento ad ogni circostanza ed è tirare il meglio di sé, tutti compresi perché ciascuno fa la propria parte e la fa bene.
Il piano B in questa fine d’anno scolastico è quello di trasmettere online un’opera teatrale registrata su piattaforma Zoom, alla fine di tante prove a distanza, laddove, “buona la prima”, “questa la teniamo”, nel caso non ci consentono di rappresentarla dal vivo e su un vero palcoscenico, con spettatori veri, con musiche dal vivo e veri applausi, lacrime vere di commozione per quelli di prima che ancora cuccioli già si improvvisano attori, per quelli di terza che l’anno prossimo non ci saranno più, per quelli di seconda, che stando nel mezzo impareranno dagli errori di quelli di prima e aspireranno a diventare come quelli di terza. Il piano B è bello e confezionato.
Con l’inferno di Dante, arrangiato ed adattato ai giorni nostri, abbiamo visto in scena un Dante che all’interno delle mura domestiche vive un vero e proprio inferno, con tanto di moglie e suocera e figlie capricciose e viziate e sogna, “nel mezzo del cammin della sua vita”, apparente inutile e bistrattata dai congiunti, di poter avere un attimo tutto per sé, che fosse poter guardare una partita alla televisione o rifugiarsi nel suo piccolo mondo interiore senza i prodighi consigli dello psicanalista di turno al quale poco importa del sogno ricorrente di Dante e di cosa celi una simile attività onirica. Per il suo personalissimo inferno, anche Dante ha ideato il piano B, quello della fuga dalla realtà, con scanzonate improvvisate alla Disco Inferno, dove Paolo e Francesca sono l’attrazione della serata con i loro balli tribali, piuttosto che un viaggio con Virgilio alla ricerca delle anime perdute traghettate da un improbabile Caronte “de noantri”. Dante con i suoi piani B fa riflettere sui nostri piani e sui nostri conti che quasi mai tornano.
Ad ogni personaggio della Divina Commedia, in maniera arguta e singolare ha corrisposto una tipologia di personalità odierna, attuale, dalla disincantata adolescente alla arpia rivendicatrice e frustrata, dal depresso perdente e sopraffatto dagli avvenimenti, al leader – suo malgrado – eroe per un giorno quale può essere un Virgilio ispiratore e idolo del Dante di turno.
Gli ingredienti di una singolare ed autentica attenzione al quotidiano, con sguardo rivolto al passato dantesco, ci sono stati tutti, i bidelli sono venuti meno ma le mamme avevano anche loro il piano B e armate di disinfettante e ramazze hanno sopperito alle lacune. La location è stata fatta salva solo all’ultimo minuto, tecnici improvvisati e di buona volontà hanno offerto il loro contributo in maniera egregia, i genitori portando i pezzi di scena, chi un tavolo, chi un pouf, chi un monitor, hanno completato l’allestimento di scena.
L’inferno è tale solo se ci arrendiamo, solo se ci lasciamo sopraffare dagli eventi, solo se non pensiamo, credendoci davvero, lavorandoci e ponendolo in essere, al piano B.
Che poi, alla fine, come spesso accade, il piano B funziona meglio del piano A e qualche volta ha suggerimenti e suggestioni che il piano A se le sogna.
Se come dice F. De Gregori “Dietro a un miraggio c’è sempre un miraggio da considerare” noi, tra piani A e piani B abbiamo vissuto il tutto sommato gradevole “inferno” in tutte le sue declinazioni, solo che affidato ad un costumista abile e sarcastico, gli hanno fatto impersonare la signora pandemia con tutte le varianti, una per ogni bimbo, che nel frattempo è diventato un adolescente.
“Come del resto alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare”, allo stesso modo i nostri voli pindarici tra una chiusura totale ed una approssimativa, tra un quadrimestre online ed uno a metà tra presenza di persone e assenza di contatti ravvicinati, è stato un susseguirsi di “ricalcola” di un navigatore satellitare immaginario. Noi si va avanti, anche con le mascherine trasparenti, che almeno si veda il sorriso o l’espressione di scena, poco importa se su palcoscenico o su monitor; come si può, con quel che si ha e nel posto in cui si sta, ricordandoci sempre “ma chi l’ha detto che non si deve provare a provare?” e che mentre pensiamo a partire siamo già arrivati e pronti per una nuova partenza, con le tasche piene di piani B ed il passato fatto di vari inferni adattati con sagace ironia al nostro vivere di ieri.
Poi il piano B non è servito, purtroppo o per fortuna poco importa.
Domani, all’indomani della scena finale, si aprirà un altro sipario e metteremo in scena un’altra storia, prendendo in prestito dalla memoria un altro piano B che ci salverà la vita, l’anno scolastico e la scena finale, che da backstage resta la migliore di tutte. Buona la prima, sì, ma pure l’ultima non è affatto male.