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Parola d’ordine: Compassione!

Commento al Vangelo – Mc 6,30-34

Siamo al termine della prima missione degli apostoli. Quanti di noi ricordano la prima volta che ci è stato dato un incarico? Vi ricordate l’entusiasmo con cui lo abbiamo vissuto? E le energie spese? E la voglia di dimostrare che ne siamo stati all’altezza? Eh sì, anche per gli apostoli sarà stato così. Penso che anche loro si siano chiesti: cosa si aspetta da noi Gesù?

È una domanda a cui molto spesso noi rispondiamo attraverso la specificazione del verbo fare: “dovrei fare questo, dovrei fare quest’altro”. La verità però è un’altra: Gesù da noi non si aspetta nulla, o per lo meno non si aspetta nulla che abbia a che fare innanzitutto con il verbo fare. È la grande indicazione del Vangelo di oggi: Gesù li chiama in disparte, a riposo.

Gli apostoli gli raccontano tutto quello che hanno fatto e posso solo immaginare lo sguardo di Gesù, contento, che sorride. Non è come noi Gesù, non è geloso dei successi degli altri; a lui piace ascoltare quello che di buono riusciamo a fare. E si accorge della nostra stanchezza, del nostro vuoto interiore che riempie ogni angolo della nostra vita. Siamo abituati ad immaginare un Dio che esige attenzione e devozione. Il Vangelo ci destabilizza parlando di un Dio che si accorge delle nostre fatiche e vi pone rimedio. Andiamo con lui, seguiamolo nell’unico luogo in cui, infine, la nostra anima può trovare riposo: in Dio.

Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui proviene la mia salvezza. Là in quel luogo ci accorgiamo di una cosa importante: a lui non interessano i risultati. A Gesù importa di noi e non dei nostri risultati aziendali. Come singoli, ma anche come Chiesa, alle volte siamo così preoccupati di “dover fare” per raggiungere un qualche risultato, che sembra che ci siamo dimenticati che Gesù il mondo lo ha già salvato e che ciò che è alla cima delle sue priorità è la nostra persona, e non ciò che abbiamo e facciamo.

Quanto è consolante questa parola, soprattutto quando tocchiamo con mano gli insuccessi come uomini, donne, padri, madri, sacerdoti, catechisti e così via. Pur non sminuendo il nostro apostolato o il nostro impegno in ogni stato di vita che viviamo, dovremmo però imparare a relativizzarlo in una maniera talmente grande da toglierlo dalla cima delle nostre preoccupazioni. Se Gesù si preoccupa innanzitutto di noi, allora significa che noi dovremmo preoccuparci innanzitutto di Lui e non delle cose da fare. Un padre o una madre che, per amore dei figli, entra in burn-out (sindrome di affaticamento, delusione, logoramento e improduttività), non ha fatto un favore ai figli. I figli vogliono avere innanzitutto un padre e una madre e non due esauriti.

Questo non significa che la mattina non andranno a lavoro o che non si preoccuperanno più delle cose pratiche, ma che relativizzeranno tutto a ciò che conta davvero: il rapporto con i figli. La stessa cosa è per un sacerdote o una consacrata: non è possibile che lo zelo pastorale diventi così tanto il centro della vita da oscurare ciò che conta, e cioè il rapporto con Cristo. Ecco perché Gesù reagisce ai racconti dei discepoli dando loro l’opportunità di recuperare ciò che conta. La folla li aspetta, non rispetta il loro legittimo bisogno di riposare: sono pecore senza pastore, sfinite, bramano una sola parola, un cenno, un’indicazione che salvi. E, invece, di scoraggiarsi, di irritarsi per il mancato riposo, ancora una volta, il Signore lascia che sia la compassione a condurlo.

Cambia programma Gesù come fa spesso. Gesù prova quella compassione che aveva provato per i suoi discepoli. È la stessa. Sono come pecore senza pastore. È che, dietro tutta la rabbia che c’è in giro, dietro tutta la violenza e tutta la mancanza di tenerezza, Gesù riesce a vedere ciò che manca: sono pecore senza pastore, hanno un’assenza nel loro cuore che cercano di colmare. Gesù vede che la gente non ha un orientamento, non sa a chi rivolgersi. Pensate, nella nostra vita, quante volte ci affidiamo al politico di turno o al guru perché non sappiamo che fare. E Gesù, che fa davanti a questa folla? Parla, dona la parola.

Pensate: che cosa fa Dio con noi? Parla, ci dona il senso, ci dona la chiave di lettura per leggere la tua vita, la nostra vita. Qualcosa che ci permetta infine di dare un colpo di luce su quello che diciamo, facciamo e vediamo. All’inizio dell’estate il Signore ci parla perché ha compassione. La sua è compassione in azione che trova soluzioni, e nel contempo ci dona la sua parola e ci chiede di far altrettanto di fronte ai grandi cambiamenti; trovare una parola che sappia riempire, che sappia orientare. Forse non tutti faranno qualche giorno di vacanza, forse faremo qualche bagno, forse rimarremo a casa limitando le nostre attività, forse riusciremo ad uscire qualche giorno; ebbene questo è il Vangelo per noi, stare in disparte, venire in disparte.

Mettiamo nella nostra valigia il Vangelo o la Bibbia o un buon libro spirituale. E anche in spiaggia possiamo leggere o dirci il nostro pezzo di rosario. Portiamo Gesù in vacanza con noi e permettiamo al Signore di donarci, con la sua parola, la chiave per vivere la nostra vita. Buona domenica!

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