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Orgoglio e pregiudizio: che disastro!

No, non sto parlando dell’arcinoto romanzo, piacevolissimo peraltro, di Jane Austen. Vorrei spendere qualche parola su questi due difettucci, dai quali dovremmo guardarci e fuggire come la peste bubbonica. Perché parlarne? Perché viviamo immersi, purtroppo, in un mare di orgoglio e di pregiudizio e ogni giorno la marea sale sempre di più. Non che me ne sia accorta solo adesso, ma l’occasione di riflettervi, me l’ha data il Vangelo di domenica 4 luglio.

Gesù, tra gli abitanti di Nazareth, additato come uno qualsiasi di loro, ma che operava cose straordinarie. Possibile? Certo Dio è grande, ma spetta solo a Lui decidere come manifestare questa sua grandezza e lo fa sempre in modo originale, come non ci aspetteremmo, spiazzando le nostre visioni ristrette, scontate e “religiose”. E quando ci si presenta è sempre diverso, altro da come ce lo aspetteremmo. E’ curioso che la parola ebraica kadosh che significa “santo”, alla lettera significa “altro”! E’ lo stesso problema col quale si trovano alle prese gli abitanti di Nazareth: come può Dio presentarsi nel figlio di Maria, la moglie del falegname? E già detta così la cosa era piuttosto offensiva. Per un ebreo si doveva dire figlio di suo padre, mai di sua madre.

Nei nazaretani cogliamo stupore, rifiuto e scandalo; lo stupore è solo l’atteggiamento iniziale con cui essi osservano ciò che esce dalla bocca e dalle mani di Gesù; e il loro pensiero è: com’è possibile? Ma non si affidano a quelle parole, a quelle mani. E’ proprio lo scandalo, infatti, che impedisce loro il passaggio ed è di inciampo, ed è generato dai pregiudizi e dalla volontà di inquadrare Dio, le sue parole e i suoi gesti in schemi precostituiti e rassicuranti!

Ed è così che ingabbiamo ancora oggi le persone, gli eventi, la nostra stessa fede che risulta talvolta asfittica perché intrappolata dai pregiudizi e dagli stereotipi mentali di molti, anche credenti. Ci sono ancora purtroppo alcuni cattolici, preti compresi, secondo i quali la Chiesa cattolica dovrebbe restare chiusa tra mura medioevali (fisiche e mentali) fondate sul terrore di Dio, sulla superstizione, la condanna e il peccato da scontare ogni giorno attraverso il dolore e la sofferenza. Per fortuna sono pochi, molto pochi, e abbiamo un Papa di larghe vedute. Ma in realtà che cos’è un pregiudizio? Lo dice la parola stessa derivante dal latino praeiudicium (sentenza anticipata). E’ assurdo.

E’ come se un giudice volesse emettere una sentenza in base al reato commesso dal reo senza conoscere la realtà dei fatti, senza ascoltare né le ragioni dell’accusa, né quelle della difesa e senza prove. Vi pare logico? Eppure quante volte ci si comporta proprio così! Il pregiudizio è una sorta di rassicurazione, perché abbiamo bisogno di sapere chi ci troviamo di fronte, e se un gruppo o una persona non si comportano secondo uno schema logico predefinito (da un nostro scherma mentale) ci mandano in crisi.

Pirandello direbbe “non conclude”. Come non ricordare le maschere che intrappolano ciascuno di noi…e nessuna corrisponde a verità. Quando poi si pensa di essere sempre dalla “parte giusta”, si finisce per ritenere “oggettivamente” legittimi certi atteggiamenti ostili nei confronti degli altri; non solo, si tende addirittura a giustificare questi comportamenti come una valutazione neutra dei fatti reali.

Ma si tratta solo di pregiudizi e stereotipi che si annidano dietro lo schermo della razionalità e provocano grossi e reali danni sociali. Come quando attribuiamo alle minoranze, tipo rom, zingari, immigrati, delle caratteristiche negative che siamo soliti reprimere in noi stessi, proiettando su altri quegli istinti negativi che fatichiamo a tenere sotto il controllo interiore: furbizia, perfidia attitudine a delinquere, violenza, volontà di nuocere in maniera organizzata. Se a tutto questo aggiungiamo pure l’orgoglio, è la fine.

Parlo dell’orgoglio in negativo, ovviamente, quello che genera la superbia la quale ci porta a sentirci superiori ogni volta che ci paragoniamo a qualcuno, ma in realtà indica solo un complesso di inferiorità. È da lì che nasce la prepotenza con cui vogliamo dimostrare di avere sempre ragione. Non solo, siamo pure vanitosi, e ostentiamo i nostri meriti, le nostre virtù e i nostri successi. E chi ha la sfortuna di essere così, è generalmente una persona molto intollerante, chiusa e infelice.

Si tiene strette le sue convinzioni, pregiudizi compresi, è incapace di ammettere i propri errori e mostra una forte resistenza al chiedere perdono e a cambiare: anzi non pensa affatto al cambiamento, perché crede di fare già tutto perfettamente. Come sconfiggere questo duetto malefico? Semplicemente con l’onestà e l’umiltà. Essere onesti con se stessi può essere molto difficile all’inizio, ma diventa col passar del tempo una liberazione.

Ci permette di scoprire chi siamo veramente e su come ci relazioniamo con il nostro mondo interiore e col prossimo.

Innanzitutto la paura di conoscere se stessi e di affrontare il nostro lato oscuro diminuisce. Inoltre, ci impedisce di continuare ad indossare una maschera con cui piacere agli altri ed essere accettati dal nostro ambiente sociale e lavorativo. Per risolvere un problema bisogna riconoscerlo e accettarlo e ci vuole coraggio. Ma scopriremo e accetteremo così di essere creature, con le nostre fragilità e le nostre debolezze.

Ricordiamo San Paolo che, nella seconda lettera ai cristiani di Corinto, sosteneva appunto: “È quando sono debole che sono forte”! Su quanto sia terribilmente dannoso l’orgoglio – sia come rifiuto del nostro status di creature fragili e limitate, sia come rifiuto assoluto di Dio -, sono illuminanti alcune considerazioni espresse dal cardinale Robert Sarah in una recente intervista.

Il cardinale vede “tutta la civiltà occidentale crollare”. Se i barbari del IV secolo che conquistarono Roma venivano da fuori, ora i barbari sono all’interno: “Sono coloro che rifiutano la propria natura umana, che si vergognano di essere creature limitate, che vogliono pensare a sé come a demiurghi senza padre e senza eredità”.

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