L’altra sera Wembley ribolliva. C’erano gli undici bianchi coi tre leoni sul petto e c’erano undici azzurri che cantavano l’inno d’Italia.
L’ultima volta che cantarono l’inno davanti a sessantamila spettatori che li guardavano in cagnesco fu a Dortmund, il sette luglio del 2006. Ma con una differenza: i tedeschi non si sono abbassati a fischiare l’inno d’Italia. Gli inglesi, sì!
Manco il tempo di iniziare, con quei fischi che ancora echeggiano e gli undici in maglia bianca sono già in goal. Segna un terzino, servito da un altro terzino.
Gli azzurri sono frastornati, gli inglesi sono tosti e ci fanno paura sia in campo che sugli spalti. Più della variante inglese!
Sembra un copione già scritto. L’Italia agnello sacrificale sugli altari della festa dei sudditi di sua maestà che non possono non vincere quest’Europeo che mai hanno vinto.
Pian piano, però, iniziamo a metterci la testa.
Il primo tempo è tutta una fase di studio dove non ci sono acuti.
Noi – fuori e davanti alle tv – viviamo sin dall’inizio un travaglio infinito che dura fino al gol di Bonucci, un altro difensore.
Oggi gli attaccanti di palle ne hanno viste poche da entrambe le parti. Kane, forte, sì, ma noi avevamo re Giorgio il vecchio alle sue calcagna…
Al gol si vede anche il compunto presidente Mattarella che per un attimo esprime sentimenti di gioia in modo plateale. Ci ricorda vagamente un altro presidente, Pertini: il Presidente, il partigiano (ma lui aveva un altro piglio…).
Dopo il goal non capita più niente se non infortuni, cambi e tanta ansia mista allo schiacciante possesso palla italiano.
Ma sugli spalti e forse ovunque in Inghilterra comincia ad agitarsi lo spettro della “variante italiana”, quella che non era mai apparsa fino ad allora e mai calcolata dai nostri avversari.
Si arriva ai rigori. Tutti i fantozzi d’Italia, tutti noi, in travaglio, guardiamo i nostri segnare e sbagliare clamorosamente. Gli inglesi pure. Ma noi abbiamo Gigione Donnarumma che smanaccia l’ultimo tentativo dei leoni inglesi e fa calare il silenzio dei loro tifosi mentre in Italia e a Londra i fan italici esultano ovunque in un unico carosello che durerà ore.
Ai sessantamila di Wembley, oltre la sconfitta, il disonore di aver dimenticato anche la civiltà e il famoso fair play!
A noi, dopo la lezione data nel pomeriggio a Wimbledon da Matteo Berrettini di come si sa perdere, la speranza che questa vittoria possa mettere le ali al nostro Paese per una ripresa del senso di comunità e di compattezza insieme a quella umiltà ed intelligenza tattica che Roberto Mancini (coadiuvato in campo e nell’abbraccio di una vita dall’amico Vialli, nonché da Evani & Co.) ha saputo mixare in modo supremo ricordando che sono i veri nostri valori vincenti!
Don Pasquale Trani