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Nell’omelia pronunciata durante la celebrazione vespertina del 7 agosto scorso presso la parrocchia di san Leonardo Abate in Panza, per l’occasione nel cortile della chiesa di san Gennaro, Mons. Pascarella ha sottolineato la centralità del cibo di vita eterna che noi cristiani abbiamo sempre a disposizione per nutrire la nostra vita spirituale, quel “pane di vita” che la Liturgia della Parola ci ha proposto già domenica scorsa, partendo dal cap. 6 del vangelo di Giovanni.

Quel pane, ci dice l’evangelista Giovanni, è Gesù stesso, via di pienezza e soddisfazione per l’uomo. Domenica scorsa il Vescovo ci aveva ricordato come spesso ci accostiamo alla Eucarestia, ma in genere ai tutti i sacramenti, con indifferente assuefazione, dimenticando che sono doni preziosi che vanno coltivati e valorizzati, e non sostituiti con gli idoli della mondanità, nutrimento materiale spesso artefatto e velenoso.

Ciò che il Signore ci ha lasciato attraverso l’esempio e il sacrificio del figlio Gesù Cristo è invece un nutrimento insostituibile. Nel brano di Giovanni (Gv 6,51) ci troviamo proprio di fronte alla difficoltà di Gesù stesso di far comprendere questo concetto ai discepoli, che pure gli erano così vicini.

Nella narrazione evangelica Gesù aveva appena compiuto il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e aveva sfamato una moltitudine di persone. Tuttavia deve specificare che quel nutrimento materiale non è sufficiente e agli increduli discepoli spiega che c’è un pane che dà la vita eterna e che quel pane è lui stesso.

Egli spiega anche che agli ebrei nel deserto era stato data la manna, pane disceso dal cielo, ma non era stata efficace. Lui è invece il pane che dona vera vita.

«Sono parole che sembrano esagerate, ma Gesù le pronuncia. Lui ci dona una vita speciale, eterna, perché viene da Dio e ci mantiene in relazione con lui. Gesù dona a chi lo accoglie con fede una vita speciale, la vita divina, che è amore». Il nutrimento arriva non solo attraverso l’Eucarestia, ma anche attraverso la Parola, che arriva in abbondanza in ogni celebrazione, specialmente in quella domenicale.

Essa rappresenta Gesù stesso che bussa alla nostra porta, con gentilezza, aspettando che noi apriamo e lo lasciamo entrare: «Il Signore bussa, la fede apre e se noi lo lasciamo entrare, la sua Parola, come lama a doppio taglio, taglia i rami secchi e fa fruttificare la nostra vita. Lasciamoci provocare dalla sua Parola!». Il Signore si serve di segni umili, semplici, quotidiani: il pane, il vino, la parola, ma noi – ha sottolineato il Vescovo – dobbiamo essere capaci di andare oltre il segno e dobbiamo comprendere che oltre il segno c’è la presenza di Dio. La celebrazione è il momento in cui Dio si dona a noi e l’Eucarestia è pertanto il culmine della vita cristiana.

Vita che deve essere intessuta di relazione con il Signore: «Dobbiamo chiederci: quale è la qualità della mia relazione con Dio e con gli altri? San Paolo ci ricorda che siamo tutti chiamati ad essere imitatori di Dio, come figli amati, e ci indica la via per essere imitatori: camminare nella carità, nel modo in cui ci ha mostrato Cristo, che ha dato se stesso per noi» Dunque, ha concluso il Vescovo, è necessario camminare nella concordia e nella misericordia estirpando dai nostri cuori ogni asprezza, collera, ira, maldicenza, per essere degni figli di Dio.

E nel nostro cammino di vita il Signore si rivolge a noi dicendo come al profeta Elia nel deserto “Alzati, mangia! Il cammino è lungo” e ci dona il giusto nutrimento. « ‘E il verbo si fece carne’. Stasera Gesù ci dice: “Vi do questa umanità, prendetela come misura alta e luminosa del vivere, imparate da me”, fondiamo dunque un nuovo umanesimo, lasciamo che il mistero dell’incarnazione entri nella storia e nelle nostre vite».

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