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La violenza contro le donne riguarda le Chiese

“La violenza contro le donne riguarda le Chiese”. È quanto scrive il Consiglio di presidenza delle teologhe italiane, in un comunicato sulla piaga dei femminicidi. “Nelle Chiese cristiane – la denuncia – la violenza maschile contro le donne non è considerata una priorità, e anzi persistono ampie sacche di negazionismo e minimizzazione (sia in generale che rispetto ai numerosissimi casi che avvengono dentro le Chiese).

Di qui la necessità di “un lavoro sistematico e condiviso, che grazie al lavoro di tante studiose anche italiane può avvalersi di numerosi e qualificati strumenti utili per rileggere la tradizione, le teologie, le pratiche pastorali, l’ecclesiologia, l’uso dei testi biblici.

 Perché il paradigma del dominio e della ‘voce unica’ si infila anche nelle catechesi più moderne, nelle omelie più ispirate, nei convegni più illuminati, nei tiktok e nei blog più frizzanti”. “Siamo di fronte a un’emergenza anzitutto educativa, che richiede un livello di intervento profondo e costante, paziente e inesorabile per lavorare sui modelli culturali, per decostruire stereotipi di genere che annientano la vita, per imparare a essere uomini e donne in modo nuovo, insieme”, la tesi delle teologhe, che auspicano “una pedagogia e una didattica capaci di decostruire quei messaggi e sostenere relazioni educative e paradigmi culturali fondati sulla parità, la dignità, la libertà e l’inclusione”, anche nei contesti ecclesiali.

La violenza contro le donne e il sistema che la sostiene non sono una “questione femminile”, il monito del documento: “Le donne ne fanno le spese, certo; possono adeguarsi; possono anche esserne complici, andando contro sé stesse. Ma la questione è maschile, e sono gli uomini innanzitutto che devono assumerla, perché riguarda la costruzione della loro maschilità, l’eredità ricevuta, le scelte che si possono e si vogliono fare per uscire dalle gabbie di un’identità che è stata strutturalmente legata al dominio e al controllo sulle donne, all’autorità, all’illusione della non parzialità e dell’invulnerabilità. In questo senso nessun uomo, per quanto ‘perbene’, può sentirsi a posto e pensare che la cosa non lo riguardi”.

Fonte: Michela Nicolais – Sir


La parola a Cristina Rontino

Anche ad Ischia purtroppo non di rado la cronaca mette in risalto atti di violenza nei confronti delle donne e, proprio per la loro tutela, sono nate nel tempo svariate associazione e centri ascolto che vanno in supporto delle parti lese.

Da tempo è attivo sull’ isola d’Ischia Punto D, Difesa Diritti Delle Donne, uno sportello antiviolenza, dove le donne possono trovare accoglienza e ospitalità. Sono previsti colloqui psicosociali e il centro lavora in rete con i servizi territoriali, avvalendosi di figure specifiche al suo interno. Lucia Lombardi e Federica Mastrapasqua sono le psicologhe insieme a Sara Minicucci, sociologa, Cristina Rontino e Francesca Annunziata curano l’etnizzazione, l’avvocato Piro si occupa di consulenza legale di primo livello e Angela Albano è promotrice dello sportello di Forio. Ed è presso questo sportello che si costruiscono saperi, progettualità, speranze e competenze.

Alle donne non vengono offerte soluzioni precostruite ma un sostegno specifico e informazioni adeguate per riuscire a trovare una soluzione adatta a sé e alla propria situazione, promuovendo inoltre il progetto S.A.R.A., protocollo internazionale.

Questa la dichiarazione di Cristina Rontino, che si dedica al primo ascolto presso gli sportelli del centro antiviolenza “La situazione sull’isola è abbastanza drammatica. Parliamo di violenza familiare, domestica, sui bambini, stolking e bullismo. La violenza psicologica è quella più subdola e che più si insinua, diventando molto spesso violenza economica. La pandemia ha notevolmente aumentato questa triste realtà e sono proprio le donne che non hanno una indipendenza economica ad essere prese di mira.

 Il primo contatto che abbiamo con la vittima spesso è telefonico, ed è il mezzo più efficace per superare il senso di vergogna connesso alla violenza stessa, permettendo di rimanere nell’anonimato. Questo metodo è utile per individuare bisogni e fornire le prime informazioni.

Ad oggi contiamo più di cento utenze presso il nostro centro ascolto e una parte di esse purtroppo è finita in denuncia penale. In altre occasioni invece le donne non hanno voluto denunciare, lasciandosi comunque seguire da un sostegno psicologico. Alcune volte inoltre è stato necessario l’allontanamento dal territorio della vittima con il supporto di altre associazioni fuori dall’isola, soprattutto là dove la vittima non aveva nazionalità italiana.

A mio parere c’è ancora tanto da fare e bisogna lavorare sulla prevenzione. E’ questo il punto di partenza. Fin da piccoli bisogna educare i bambini ad abbattere il muro del pregiudizio e soprattutto lavorare sulle giovanissime, aumentando l’autostima.

Stiamo cercando di lavorare anche sugli uomini che maltrattano le donne. In alcuni casi, anche se la percentuale è ancora minima, si rendono disponibili ad iniziare un percorso presso le nostre sedi. Anche le mediazioni familiari, là dove non c’è violenza domestica”.

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