L’Angelus di domenica scorsa commentato dal Papa mette in evidenza la tentazione di voler primeggiare per ottenere i posti più importanti, soprattutto quando si è al servizio della Chiesa e del Vangelo: «Il Vangelo della Liturgia odierna (Mc 10,35-45) racconta che due discepoli, Giacomo e Giovanni, chiedono al Signore di sedere un giorno accanto a Lui nella gloria, come se fossero “primi ministri”, una cosa del genere. Ma gli altri discepoli li sentono e si indignano. A questo punto Gesù, con pazienza, offre loro un grande insegnamento: la vera gloria non si ottiene elevandosi sopra gli altri, ma vivendo lo stesso battesimo che Egli riceverà, di lì a poco, a Gerusalemme, cioè la croce. … Guardiamo il Signore Crocifisso, immerso fino in fondo nella nostra storia ferita, e scopriamo il modo di fare di Dio. Vediamo che Lui non è rimasto lassù nei cieli, a guardarci dall’alto in basso, ma si è abbassato a lavarci i piedi. Dio è amore e l’amore è umile, non si innalza, ma scende in basso, come la pioggia che cade sulla terra e porta vita. Ma come fare a mettersi nella stessa direzione di Gesù, a passare dall’emergere all’immergerci, dalla mentalità del prestigio, quella mondana, a quella del servizio, quella cristiana? Serve impegno, ma non basta. Da soli è difficile, per non dire impossibile, però abbiamo dentro una forza che ci aiuta. È quella del Battesimo, di quell’immersione in Gesù che tutti noi abbiamo ricevuto per grazia e che ci direziona, ci spinge a seguirlo, a non cercare il nostro interesse ma a metterci al servizio. È una grazia, è un fuoco che lo Spirito ha acceso in noi e che va alimentato. Chiediamo oggi allo Spirito Santo che rinnovi in noi la grazia del Battesimo, l’immersione in Gesù, nel suo modo di essere, per essere più servitori, per essere servi come Lui è stato con noi».
Il Poverello d’Assisi aveva ben chiaro che posto dovesse occupare un vero discepolo alla sequela di Cristo. Come il Maestro bisognava aspirare di rimanere all’ultimo posto, al servizio amorevole del prossimo. “L’umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, si era giuridicamente impadronita dell’uomo di Dio. Difatti, benché egli risplendesse per il privilegio di molte virtù, sembrava tuttavia che l’umiltà avesse conseguito un dominio particolare su di lui: minore di tutti i minori. E certo secondo il criterio con cui lui stesso si giudicava, dichiarandosi il più grande peccatore, egli era proprio e soltanto un piccolo e sudicio vaso di creta: in realtà, invece, era un vaso eletto di santità, fulgido e adorno di molteplici virtù e di grazia, consacrato dalla purezza. Si studiava di essere spregevole agli occhi propri ed altrui; di ripulire, confessandoli in pubblico, le macchie in lui nascoste e di celare nel segreto del cuore i doni del Datore supremo: non voleva in alcun modo che venisse rivelato, per averne gloria, quanto poteva essere occasione di rovina. Piuttosto, per compiere ogni giustizia nella realizzazione dell’umiltà perfetta, si impegnò a rimanere soggetto non solo ai superiori, ma anche agli inferiori, a tal punto che aveva l’abitudine di promettere obbedienza anche al compagno di viaggio, fosse stato anche il più semplice. In questo modo egli non comandava autoritariamente, alla maniera di un prelato; ma, alla maniera di un ministro e di un servo, obbediva per umiltà anche ai sudditi (FF 1351).
Papa Francesco conclude come sempre rivolgendo il suo pensiero alla Regina del cielo e della terra, esortando i fedeli ad imitarla: «E preghiamo la Madonna: lei, pur essendo la più grande, non ha cercato di emergere, ma è stata l’umile serva del Signore, ed è tutta immersa al nostro servizio, per aiutarci a incontrare Gesù».