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Il papa e i dimenticati del mondo: “Scandalizziamoci della povertà”

La società, spiega Francesco incontrando i poveri, «pur di non compiere un serio esame di coscienza sui propri atti, sull’ingiustizia di alcune leggi e provvedimenti economici, sull’ipocrisia di chi vuole arricchirsi a dismisura, getta la colpa sulle spalle dei più deboli»

Poche ore ad Assisi, ma di grande significato. Papa Francesco celebra in anticipo la V Giornata mondiale dei poveri che ricorre il 14 novembre incontrando un gruppo di 500 di loro provenienti da diverse parti d’Europa. Prima dell’arrivo a Santa Maria degli Angeli, fuori programma, si è fermato a salutare le sorelle clarisse del monastero di Santa Chiara, mentre alla fine si è fermato a pranzo da quelle di Spello prima di far rientro in Vaticano. Sul sagrato tre del gruppo gli consegnano il mantello e il bastone del pellegrino, come segno che sono venuti fin lì, nei luoghi del Santo di Assisi, in pellegrinaggio. Dopo una sosta di preghiera silenziosa, alla Porziuncola, Bergoglio ascolta le testimonianze in francese, polacco, spagnolo e italiano. Parla una famiglia in missione in uno dei quartieri più poveri di Parigi, attraverso il progetto delle misericordie. Parlano della propria vita volontari e persone finite per strada, ex atei che hanno sperimentato l’amore di Dio

E lui li ringrazia e li rincuora. «Ho ascoltato con attenzione le vostre testimonianze, e vi dico grazie per tutto quello che avete manifestato con coraggio e sincerità», dice il Pontefice. «Coraggio, perché le avete volute condividere con tutti noi, nonostante siano parte della vostra vita personale; sincerità, perché vi mostrate così come siete e aprite il vostro cuore con il desiderio di essere capiti». Il Papa resta particolarmente colpito dal «grande senso di speranza. La vita non è stata sempre indulgente con voi, anzi, spesso vi ha mostrato un volto crudele. L’emarginazione, la sofferenza della malattia e della solitudine, la mancanza di tanti mezzi necessari non vi ha impedito di guardare con occhi carichi di gratitudine per le piccole cose che vi hanno permesso di resistere». Resistere, «la seconda impressione che ho ricevuto e che deriva proprio dalla speranza. Cosa vuol dire resistere? Avere la forza di andare avanti nonostante tutto. Resistere non è un’azione passiva, al contrario, richiede il coraggio di intraprendere un nuovo cammino sapendo che porterà frutto. Resistere vuol dire trovare dei motivi per non arrendersi davanti alle difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme le possiamo superare. Resistere ad ogni tentazione di lasciar perdere e cadere nella solitudine o nella tristezza».

Sottolinea, Bergoglio, che Assisi «non è una città come le altre» perché porta impresso «il volto di San Francesco». Pensa alle strade dove il santo ha vissuto la sua «giovinezza inquieta», dove «ha ricevuto la chiamata a vivere il Vangelo alla lettera». Una santità, quella del Poverello di Assisi, che ci fa rabbrividire «perché sembra impossibile poterlo imitare. Ma poi, nel momento in cui ricordiamo alcuni momenti della sua vita, quei “fioretti” che sono stati raccolti per mostrare la bellezza della sua vocazione, ci sentiamo attratti da questa semplicità di cuore e di vita: è l’attrazione stessa di Cristo, del Vangelo. Sono fatti di vita che valgono più delle prediche».

Il Papa ricorda la questua che Francesco con fra Masseo fanno nel corso del loro viaggio in Francia, dei tozzi di pane che raccoglie lui, piccolino di statura e scambiato per un barbone, e il pane più fresco che invece viene donato al suo compagno più alto e bello. La preghiera di ringraziamento per il dono ricevuto davanti allo stupore di fra Masseo e le parole di Francesco che ci insegnano che ci si può «accontentare di quel poco che abbiamo e dividerlo con gli altri».

Parla ancora della lezione vera che il Santo impara nel corso della sua vita. Quel «Va’ e ripara la mia Chiesa» che il Signore indicava non per restaurare la chiesetta di mattoni, ma per rinnovare quella fatta di «persone, di uomini e donne che sono le pietre vive della Chiesa. E se noi siamo qui oggi è proprio per imparare da ciò che ha fatto San Francesco. A lui piaceva stare a lungo in questa chiesetta a pregare. Si raccoglieva qui in silenzio e si metteva in ascolto del Signore, di quello che Dio voleva da lui. Anche noi siamo venuti qui per questo: vogliamo chiedere al Signore che ascolti il nostro grido e venga in nostro aiuto. Non dimentichiamo che la prima emarginazione di cui i poveri soffrono è quella spirituale. Ad esempio, tante persone e tanti giovani trovano un po’ di tempo per aiutare i poveri e portano loro cibo e bevande calde. Questo è molto buono e ringrazio Dio della loro generosità. Ma soprattutto mi rallegra quando sento che questi volontari si fermano un po’ a parlare con le persone, e a volte pregano insieme a loro… Ecco, anche il nostro trovarci qui, alla Porziuncola, ci ricorda la compagnia del Signore, che Lui non ci lascia mai soli, ci accompagna sempre in ogni momento della nostra vita».

E poi il Papa parla di accoglienza, proprio lì, alla Porziuncola dove Francesco ha accolto Chiara. «Accogliere significa aprire la porta, la porta della casa e la porta del cuore, e permettere a chi bussa di entrare. E che possa sentirsi a suo agio, non in soggezione. Dove c’è un vero senso di fraternità, lì si vive anche l’esperienza sincera dell’accoglienza. Dove invece c’è la paura dell’altro, il disprezzo della sua vita, allora nasce il rifiuto. L’accoglienza genera il senso di comunità; il rifiuto al contrario chiude nel proprio egoismo. Madre Teresa, che aveva fatto della sua vita un servizio all’accoglienza, amava dire: “Qual è l’accoglienza migliore? Il sorriso”. Condividere un sorriso con chi è nel bisogno fa bene a tutt’e due, a me e all’altro. Il sorriso come espressione di simpatia, di tenerezza».

Ancora, Bergoglio si sofferma sul verbo incontrarci, «cioè andare uno verso l’altro con il cuore aperto e la mano tesa. Sappiamo che ognuno di noi ha bisogno dell’altro, e anche la debolezza, se vissuta insieme, può diventare una forza che migliora il mondo. Spesso la presenza dei poveri è vista con fastidio e sopportata; a volte si sente dire che i responsabili della povertà sono i poveri! Pur di non compiere un serio esame di coscienza sui propri atti, sull’ingiustizia di alcune leggi e provvedimenti economici, sull’ipocrisia di chi vuole arricchirsi a dismisura, si getta la colpa sulle spalle dei più deboli». A essi, invece, va restituita la parola. «È tempo», insiste il Pontefice, «che si aprano gli occhi per vedere lo stato di disuguaglianza in cui tante famiglie vivono. È tempo di rimboccarsi le maniche per restituire dignità creando posti di lavoro. È tempo che si torni a scandalizzarsi davanti alla realtà di bambini affamati, ridotti in schiavitù, sballottati dalle acque in preda al naufragio, vittime innocenti di ogni sorta di violenza. È tempo che cessino le violenze sulle donne e queste siano rispettate e non trattate come merce di scambio. È tempo che si spezzi il cerchio dell’indifferenza per ritornare a scoprire la bellezza dell’incontro e del dialogo».

E si augura che «questo incontro apra il cuore di tutti noi a metterci a disposizione gli uni degli altri, per rendere la nostra debolezza una forza che aiuta a continuare il cammino della vita, per trasformare la nostra povertà in ricchezza da condividere, e così migliorare il mondo».

Fonte: Annachiara Valle – Famiglia Cristiana

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