Un percorso originale di riflessione attorno all’enciclica “Fratelli tutti” che ha visto insieme credenti e persone senza riferimenti religiosi. L’incontro con papa Francesco e l’impegno a generare un mondo aperto.
La commozione è evidente negli occhi lucidi di Luciana che, al termine di un’udienza del mercoledì, ha appena salutato papa Francesco. Nel suo discorso Bergoglio aveva parlato dell’importanza di curare le relazioni e quel suo non sottrarsi al rapporto personale con tanti dei presenti all’udienza ne è una dimostrazione. Fra questi un gruppo un po’ “originale” di cui fa parte, appunto, Luciana.
«Papa Francesco – gli avevano scritto il 30 agosto scorso –, noi siamo questi: 30 persone di culture diverse, per metà circa senza riferimenti religiosi, appartenenti a gruppi spontanei, che hanno in comune il desiderio di vivere il dialogo innestato nel carisma dell’unità che Chiara Lubich ci ha trasmesso». Anche per loro, come per tutti, la pandemia in corso è stata limitante, quanto alla possibilità di incontrarsi.
Provengono infatti da diverse regioni italiane, Toscana, Umbria, Puglia, Trentino, Lazio, Veneto, Lombardia. «In questo periodo così difficile, però, è arrivata la “Fratelli tutti” di papa Francesco – mi raccontano – e la stima che avevamo per lui ci ha portato ad avvicinarci a questa enciclica. In fondo, lui stesso dice di averla scritta a partire dalle sue convinzioni cristiane, certo, ma in modo che la riflessione fosse aperta al dialogo con tutte le persone di buona volontà. Ci è sembrato un documento universale pensato e scritto per tutti, un tutti nel senso di ciascuno, di ogni donna, di ogni uomo. Per tutti anche nel senso che affronta tutti i problemi del difficile tempo che viviamo; e mentre ce ne presenta la gravità ci mette in guardia, ma, contemporaneamente, ci indica la via per frenare questa pazza corsa verso un non ritorno».
Da qui una decisione: oltre a partecipare ai tanti appuntamenti che hanno visto l’intervento di esperti, studiosi, intellettuali «volevamo lasciarci interpellare personalmente dall’enciclica, con l’atteggiamento di chi è disposto a domandarsi da che parte stiamo, costringerci a dare delle risposte su cosa stiamo facendo per contribuire a quell’aspirazione mondiale alla fraternità di cui parla papa Francesco nell’enciclica».
Scelgono quindi un metodo: una lettura da parte di ognuno dei vari capitoli con una condivisione quindicinale delle riflessioni scaturite, senza mediazioni di esperti esterni. «Con nostra grande sorpresa – confidano – abbiamo visto fiorire inaspettate conferme della bontà del percorso scelto: al piccolo gruppo iniziale si sono aggiunti man mano altri, in qualche modo attirati da questa modalità nuova di interagire con un documento complesso come questo. Alcuni hanno confessato di essersi avvicinati per la prima volta ad un’enciclica». E lo fanno con uno stile: «Dialogo a tutto tondo, senza preconcetti, in un ascolto partecipe e profondo delle opinioni di ognuno, con fiducia e rispetto reciproci, certi di crescere ed arricchirci insieme».
Ne scaturiscono incontri vivacissimi e coinvolgenti, riflessioni dense di significato, al punto che pensano di raccoglierle in un libretto dal titolo “Unità nella diversità”. E, logicamente, di farne dono a papa Francesco. La già citata lettera del 30 agosto si conclude infatti: «Caro papa Francesco, grazie per l’enciclica e per quello che stai facendo per l’umanità e per la Chiesa. Saremmo lieti di poterti incontrare personalmente per consegnarti il frutto di questo lavoro composto dalle riflessioni di tutti coloro che hanno partecipato. Chi tra noi è religioso prega per te, chi invece non lo è ti rivolge un intenso pensiero pieno di simpatia e gratitudine».
Il papa ringrazia e si dice disposto. Ed ecco perché alcuni del gruppo partecipano all’udienza e Luciana, a nome di tutti, consegna nelle mani di Francesco non solo il libretto che è quasi un dialogo aperto con lui, ma l’impegno che esso contiene ad essere costruttori di fraternità. In una delle pagine introduttive scrivono: «Grazie anche a te ci siamo contaminati in maniera feconda e abbiamo capito, in maniera ancora più profonda che “da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme”. Siamo qui a chiederti una parola affinchè questo cammino prosegua e che ognuno di noi, al cui interno abita il viandante, la vittima, il bandito, il sacerdote e il levita e il samaritano, si orienti decisamente a vivere per generare un mondo aperto e a costruire un noi che abiti la Terra». Conoscendoli, siamo certi che sarà così, anzi lo è già!
Fonte: Aurora Nicosia direttrice di Città Nuova
Foto: Città Nuova