Commento al Vangelo Lc 3,10-18
Dio è felice, questo è il tema di questa terza domenica di Avvento. Non soltanto che Dio è felice, ma desidera che noi siamo felici; e ci mette nelle condizioni di diventare felici. Avete sentito come esordisce la liturgia di oggi col profeta Sofonia: “Rallegrati figlia di Sion, grida di gioia Israele, il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente, gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia”. Dio è felice ed è interessante perché Sofonia sta parlando ad un popolo in esilio; sta parlando ad un popolo di prigionieri a Babilonia che verrebbe da dire: “Ma come è felice? ma non vedi come stiamo messi!”.
Dio non è felice perché il popolo è schiavo, perché le cose non funzionano, perché il popolo si è lasciato cadere le braccia; ma al contrario è felice perché vede già una soluzione, intravede al di là di questa storia fragile che è la nostra personale, un orizzonte.
Alzare lo sguardo in questo Avvento significa proprio questo: vedere sempre un orizzonte. Se vogliamo dirlo con le parole di Paolo rivolte ai cristiani di Filippi, dobbiamo essere sempre nella gioia, lieti nel Signore perché il Signore è vicino. La gioia non viene dal fatto che le cose vanno bene, che le cose vanno come vorrei io, ma dal fatto che il Signore è già venuto nella storia e tornerà nella gloria e ora chiede qui, oggi, di essere felice con lui.
È questa presenza, questa vita di Dio dentro di me che mi porta la gioia. Giovanni è protagonista del Vangelo di oggi.
Oggi Luca ci dona questo brano straordinario che ci racconta (ed è l’unico a farlo) questo flusso continuo di persone che da Gerusalemme scendono intorno al Giordano vicino al Mar Morto nel deserto di Giuda per incontrare quest’uomo piuttosto respingente, quest’uomo scavato dalla solitudine, dall’ascesi, questo uomo duro come ci riporta Giovanni l’evangelista, cioè uno che non te le manda a dire.
È interessante che queste persone che vivevano a pochi metri dal Nuovo Tempio rinato e ricostruito dopo quasi 600 anni di abbandono cercano altro. Come cristiano questa cosa mi interroga, perché togliendo quelli che si dichiarano atei agnostici, togliendo quelli che più o meno frequentano la chiesa settimanalmente (un 10%), significa che l’80% delle persone che incontriamo non è che non cerca Dio, ma probabilmente non lo trovano tra di noi. Questo a me rattrista perché mi chiedo che tipo di testimonianza rendiamo.
Le folle interrogano Giovanni dicendo: che cosa dobbiamo fare; è bello il fatto che ci si interroghi. Quando scopriamo o quando ci viene detto che Dio è felice ed è disposto a condividere questa sua felicità con noi, la prima cosa che a me viene da dire è: che cosa devo fare? Il fare vuol dire mi metto in gioco, mi interrogo, non aspetto dall’alto qualcosa che arriva; la felicità non è una cosa connaturale ma per trovarla si deve faticare, per realizzarla si deve sudare e si fatica anche tanto; allora cosa devo fare concretamente? La risposta di Giovanni Battista è sconcertante; la risposta del Battista è straordinaria e indica tutta la sua levatura.
Egli dice che chi ha due tuniche ne dia uno a chi non ne ha, lui che veste praticamente nudo; chi ha da mangiare faccia altrettanto, lui che continua a digiunare e non prende cibo; ai pubblicani chiede di non esigere nulla di più di quanto è stato fissato, lui che vive di povertà assoluta e vive soltanto di quello che il deserto gli può dare; ai soldati che vengono dice di non maltrattare nessuno, lui che mai ha maltrattato nessuno. Cosa voglio dirvi? Che la gente lo ascolta perché è credibile; lo ascolta perché cerca di vivere ciò che dice, ciò che chiede agli altri è quello che lui fa! Forse questo è quello che ci viene chiesto: essere credibili.
Dio per primo ha condiviso le due tuniche, lui per primo ha sfamato con la moltiplicazione dei pani e dei pesci, lui per primo non ha preteso nulla e non ha maltrattato nessuno. Dio è credibile! Allora per questa felicità Giovanni non ci chiede niente di straordinario: non sta dicendo, come Gesù dice al giovane ricco, lascia tutto e seguimi, non sta proponendo di seguire Gesù sul Calvario, ma sta dicendo alle persone cose fattibili: condividere quello che hai, condividere il cibo che hai, non essere violento, non essere ladro.
Era normale che la gente tenesse per sè tutto quello che aveva, era normale che un pubblicano approfittasse del fatto di essere appaltatore delle tasse per conto dei romani per farci un po’ la cresta, era normale che i soldati e le forze dell’ordine, i poliziotti, i carabinieri ogni tanto facessero un po’ gli sbruffoni approfittando della loro situazione; ma ecco che Giovanni propone qualcosa di diverso, cioè di vivere nella tua condizione di studente, di casalinga, di libero professionista, di operaio, di insegnante, di quello che sei, di vivere quello che fai, in maniera diversa, in maniera che non segue la corrente, che non segue l’istinto.
E sappiamo come già questo sia faticoso! Prepara così la strada a questo Dio felice che viene in questo momento in cui ci sembra di essere in esilio come il popolo a Babilonia.
Allora questa pagina ormai in prossimità del Natale ci dice che c’è una possibilità di vivere bene questo oggi, con un atteggiamento molto semplice, fattibile: accogliere Dio significa anzitutto vivere ciò che facciamo in una modalità nuova, credibile. Giovanni Battista dopo aver dato questi consigli ha una tale consapevolezza di sé, ha talmente fatto un cammino di umiltà e di verità, che dice con verità che lui non è il Cristo; tutti pensano che lui sia il Cristo, ma lui dice che non è niente del genere, che non è neanche degno di legargli le scarpe. Ecco con questa bellissima prospettiva continuiamo ormai l’ultimo tratto prima di questo Natale; che cosa dobbiamo fare per diventare felici come questo Dio felice? Beh la risposta ce l’abbiamo sotto gli occhi.
Buona domenica!
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La felicità di Dio
Commento al Vangelo Lc 3,10-18
Dio è felice, questo è il tema di questa terza domenica di Avvento. Non soltanto che Dio è felice, ma desidera che noi siamo felici; e ci mette nelle condizioni di diventare felici. Avete sentito come esordisce la liturgia di oggi col profeta Sofonia: “Rallegrati figlia di Sion, grida di gioia Israele, il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente, gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia”. Dio è felice ed è interessante perché Sofonia sta parlando ad un popolo in esilio; sta parlando ad un popolo di prigionieri a Babilonia che verrebbe da dire: “Ma come è felice? ma non vedi come stiamo messi!”.
Dio non è felice perché il popolo è schiavo, perché le cose non funzionano, perché il popolo si è lasciato cadere le braccia; ma al contrario è felice perché vede già una soluzione, intravede al di là di questa storia fragile che è la nostra personale, un orizzonte.
Alzare lo sguardo in questo Avvento significa proprio questo: vedere sempre un orizzonte. Se vogliamo dirlo con le parole di Paolo rivolte ai cristiani di Filippi, dobbiamo essere sempre nella gioia, lieti nel Signore perché il Signore è vicino. La gioia non viene dal fatto che le cose vanno bene, che le cose vanno come vorrei io, ma dal fatto che il Signore è già venuto nella storia e tornerà nella gloria e ora chiede qui, oggi, di essere felice con lui.
È questa presenza, questa vita di Dio dentro di me che mi porta la gioia. Giovanni è protagonista del Vangelo di oggi.
Oggi Luca ci dona questo brano straordinario che ci racconta (ed è l’unico a farlo) questo flusso continuo di persone che da Gerusalemme scendono intorno al Giordano vicino al Mar Morto nel deserto di Giuda per incontrare quest’uomo piuttosto respingente, quest’uomo scavato dalla solitudine, dall’ascesi, questo uomo duro come ci riporta Giovanni l’evangelista, cioè uno che non te le manda a dire.
È interessante che queste persone che vivevano a pochi metri dal Nuovo Tempio rinato e ricostruito dopo quasi 600 anni di abbandono cercano altro. Come cristiano questa cosa mi interroga, perché togliendo quelli che si dichiarano atei agnostici, togliendo quelli che più o meno frequentano la chiesa settimanalmente (un 10%), significa che l’80% delle persone che incontriamo non è che non cerca Dio, ma probabilmente non lo trovano tra di noi. Questo a me rattrista perché mi chiedo che tipo di testimonianza rendiamo.
Le folle interrogano Giovanni dicendo: che cosa dobbiamo fare; è bello il fatto che ci si interroghi. Quando scopriamo o quando ci viene detto che Dio è felice ed è disposto a condividere questa sua felicità con noi, la prima cosa che a me viene da dire è: che cosa devo fare? Il fare vuol dire mi metto in gioco, mi interrogo, non aspetto dall’alto qualcosa che arriva; la felicità non è una cosa connaturale ma per trovarla si deve faticare, per realizzarla si deve sudare e si fatica anche tanto; allora cosa devo fare concretamente? La risposta di Giovanni Battista è sconcertante; la risposta del Battista è straordinaria e indica tutta la sua levatura.
Egli dice che chi ha due tuniche ne dia uno a chi non ne ha, lui che veste praticamente nudo; chi ha da mangiare faccia altrettanto, lui che continua a digiunare e non prende cibo; ai pubblicani chiede di non esigere nulla di più di quanto è stato fissato, lui che vive di povertà assoluta e vive soltanto di quello che il deserto gli può dare; ai soldati che vengono dice di non maltrattare nessuno, lui che mai ha maltrattato nessuno. Cosa voglio dirvi? Che la gente lo ascolta perché è credibile; lo ascolta perché cerca di vivere ciò che dice, ciò che chiede agli altri è quello che lui fa! Forse questo è quello che ci viene chiesto: essere credibili.
Dio per primo ha condiviso le due tuniche, lui per primo ha sfamato con la moltiplicazione dei pani e dei pesci, lui per primo non ha preteso nulla e non ha maltrattato nessuno. Dio è credibile! Allora per questa felicità Giovanni non ci chiede niente di straordinario: non sta dicendo, come Gesù dice al giovane ricco, lascia tutto e seguimi, non sta proponendo di seguire Gesù sul Calvario, ma sta dicendo alle persone cose fattibili: condividere quello che hai, condividere il cibo che hai, non essere violento, non essere ladro.
Era normale che la gente tenesse per sè tutto quello che aveva, era normale che un pubblicano approfittasse del fatto di essere appaltatore delle tasse per conto dei romani per farci un po’ la cresta, era normale che i soldati e le forze dell’ordine, i poliziotti, i carabinieri ogni tanto facessero un po’ gli sbruffoni approfittando della loro situazione; ma ecco che Giovanni propone qualcosa di diverso, cioè di vivere nella tua condizione di studente, di casalinga, di libero professionista, di operaio, di insegnante, di quello che sei, di vivere quello che fai, in maniera diversa, in maniera che non segue la corrente, che non segue l’istinto.
E sappiamo come già questo sia faticoso! Prepara così la strada a questo Dio felice che viene in questo momento in cui ci sembra di essere in esilio come il popolo a Babilonia.
Allora questa pagina ormai in prossimità del Natale ci dice che c’è una possibilità di vivere bene questo oggi, con un atteggiamento molto semplice, fattibile: accogliere Dio significa anzitutto vivere ciò che facciamo in una modalità nuova, credibile. Giovanni Battista dopo aver dato questi consigli ha una tale consapevolezza di sé, ha talmente fatto un cammino di umiltà e di verità, che dice con verità che lui non è il Cristo; tutti pensano che lui sia il Cristo, ma lui dice che non è niente del genere, che non è neanche degno di legargli le scarpe. Ecco con questa bellissima prospettiva continuiamo ormai l’ultimo tratto prima di questo Natale; che cosa dobbiamo fare per diventare felici come questo Dio felice? Beh la risposta ce l’abbiamo sotto gli occhi.
Buona domenica!
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Don Cristian Solmonese
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