Seconda catechesi d’avvento di P. Raniero Cantalamessa
Venerdì 10 dicembre si è tenuta la seconda catechesi di padre Raniero Cantalamessa che – dopo la presentazione del testamento spirituale del vescovo Abercio, vissuto verso la fine del II secolo, entusiasta per il mondo nuovo che la fede gli stava facendo intravedere – riprende il tema d’Avvento evidenziando il ruolo che lo Spirito Santo svolge nel nostro essere figli di Dio.
Il brano di riferimento è Romani 8, 15-16: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio.
S. Paolo dice che c’è un altro mezzo senza il quale anche la Parola di Dio risulta insufficiente: lo Spirito Santo! San Bonaventura termina il suo trattato Itinerario della mente a Dio con una frase allusiva e misteriosa; dice: “Questa sapienza mistica segretissima nessuno la conosce se non chi la riceve; nessuno la riceve se non chi la desidera; nessuno la desidera se non chi è infiammato nell’intimo dallo Spirito Santo mandato da Cristo sulla terra”. In altre parole, noi possiamo desiderare di avere una conoscenza viva dell’essere figli di Dio e di farne l’esperienza, ma ottenere tutto ciò è opera soltanto dello Spirito Santo.
Lo Spirito è “la prova” che siamo figli di Dio, egli lo “attesta” al nostro spirito.Nel battesimo siamo diventati figli di Dio, membra di Cristo, l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori, ma credere con la mente non basta: va vissuto con il cuore. Oggi!
Cerchiamo dunque di capire come lo Spirito Santo opera questo miracolo di aprire i nostri occhi sulla realtà che portiamo dentro. La migliore descrizione di come lo Spirito Santo porta a compimento questa operazione nel credente, p. Raniero l’ha trovata in un discorso per la Pentecoste di Lutero. (Seguiamo, con lui, il criterio paolino di “esaminare tutto e ritenere ciò che è buono”) (1 Tess 5, 21). “Finché l’uomo vive nel regime di peccato, sotto la legge, Dio gli appare un padrone severo, uno che si oppone al soddisfacimento dei suoi desideri terreni con quei suoi perentori: “Tu devi.., tu non devi”.
Non devi desiderare la roba d’altri, la donna d’altri…In questo stato l’uomo accumula nel fondo del cuore un sordo rancore contro Dio, lo vede come un avversario della sua felicità, al punto che, se dipendesse da lui, sarebbe ben felice che non esistesse”. Se tutto questo ci sembra una ricostruzione esagerata, da grandi peccatori, che non ci riguarda da vicino, guardiamoci dentro e osserviamo cosa sale dal fondo oscuro del nostro cuore davanti a una volontà di Dio, o una obbedienza che attraversa i nostri piani.
Nei corsi di Esercizi spirituali che ho occasione di predicare io sono solito proporre ai partecipanti di sottoporsi da soli a un test psicologico per scoprire quale idea di Dio prevale in loro. Invito a domandarsi: “Quali sentimenti, quali associazioni di idee sorgono spontaneamente in me, prima di ogni riflessione, quando, recitando il Padre nostro, arrivo alle parole: ‘Sia fatta la tua volontà’ ”? Non è difficile accorgersi che inconsciamente si collega la volontà di Dio a tutto ciò che è spiacevole, doloroso, e tutto ciò che costituisce una prova, un’esigenza di rinuncia, un sacrificio, a tutto ciò, insomma, che può essere visto come mutilante la nostra libertà e sviluppo individuali. Si pensa a Dio come se egli fosse essenzialmente nemico di ogni festa, gioia, piacere. Se in quel momento potessimo guardare la nostra anima come allo specchio, ci vedremmo come persone che chinano il capo rassegnati, mormorando a denti stretti: “Se proprio non si può fare a meno…ebbene, sia fatta la tua volontà”.
Lo Spirito Santo per guarirci da questo terribile inganno ereditato da Adamo, venendo in noi – nel battesimo e poi in tutti gli altri mezzi di santificazione – comincia con il mostrarci un diverso volto di Dio, il volto rivelatoci da Gesù nel Vangelo.” Dio è con noi, è nostro alleato. Dunque “…chi sarà contro di noi?” (cf Rom 8, 31).
La preghiera è il luogo privilegiato in cui lo Spirito Santo opera sempre di nuovo il miracolo di farci sentire figli di Dio. Lo Spirito non dà una legge di preghiera, ma una grazia di preghiera. La preghiera non viene a noi, primariamente, per apprendimento esteriore e analitico, ma viene a noi per infusione, come dono.
Viene a noi la sorgente stessa della preghiera. Il grido del credente “Abbà!” dimostra, da solo, che chi prega in noi, attraverso lo Spirito, è Gesù, il Figlio unigenito di Dio. È lo Spirito Santo che infonde, dunque, nel cuore, il sentimento della figliolanza divina, che ci fa sentire (non soltanto sapere!) figli di Dio.
In occasione di un ritiro, di un sacramento ricevuto con disposizioni particolari, di un ascolto con cuore disponibile della parola di Dio, durante la preghiera per l’effusione dello Spirito (il cosiddetto “battesimo nello Spirito”), l’anima è inondata di una luce nuova, nella quale Dio le si rivela, in un modo nuovo, come Padre. Si fa esperienza di cosa vuol dire veramente la paternità di Dio; il cuore si intenerisce e la persona ha la sensazione di rinascere da questa esperienza.
Dentro di lei appare una grande confidenza e un senso mai provato della condiscendenza di Dio. Altre volte invece la rivelazione del Padre si accompagna a un tale sentimento della maestà e trascendenza di Dio che l’anima è come sopraffatta e tace. Questo lo descrivono bene le esperienze dei santi che non riuscivano a terminare neanche un Padre nostro perché rimasti fermi alle prime o alla prima parola.
Quanto più quel grido “Abbà” rende felice chi lo pronuncia, tanto più rende felice il Padre che lo ascolta, perché fatto di pura fede e di abbandono. Perché l’aridità rende più pura la preghiera perseverante. Gesù lo sapeva, perciò ha chiamato così spesso Dio “Abbà”! E ci ha insegnato a fare lo stesso. Noi diamo a Dio una gioia semplice e unica chiamandolo papà: la gioia della paternità. Il suo cuore “si commuove” dentro di lui, le sue viscere “fremono di compassione”, al sentirsi chiamare così (cf Os 11, 8).
È proprio in questo tempo di apparente lontananza di Dio e di aridità che si scopre tutta l’importanza dello Spirito Santo per la nostra vita di preghiera. Egli viene in soccorso della nostra debolezza, riempie le nostre parole e i nostri gemiti, di desiderio di Dio, di umiltà, di amore, “e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito” (cf Rom 8, 26-27). Lo Spirito diviene, allora, la forza della nostra preghiera “debole”, la luce della nostra preghiera spenta; in una parola, l’anima della nostra preghiera.
Davvero, egli “irriga ciò che è arido”, come diciamo nella sequenza in suo onore. Tutto questo avviene per fede. Basta che io dica o pensi: «Padre, tu mi hai donato lo Spirito di Gesù tuo Figlio; formando perciò “un solo spirito con lui” (1 Cor 6, 17), io recito questo salmo, celebro questa santa Messa, o sto semplicemente in silenzio, qui alla tua presenza. Voglio darti quella gloria e quella gioia che ti darebbe Gesù, se fosse lui a pregarti ancora dalla terra».
Dobbiamo fondare tutto sullo Spirito Santo. Non basta recitare un Pater, Ave e Gloria, all’inizio delle nostre riunioni pastorali, per poi passare in fretta e furia all’ordine del giorno. Quando le circostanze lo permettono, bisogna rimanere per un po’ esposti allo Spirito Santo, dargli tempo di manifestarsi. Sintonizzarsi con lui.
P. Raniero ha poi riferito di una lettera ricevuta da un parroco che gli diceva: “Da quasi tre anni il nostro Arcivescovo ci ha lanciati tutti nell’avventura missionaria e ha costituito una fraternità di missionari diocesani. Ci siamo proposti di vivere un ciclo di preparazione al battesimo nello Spirito. È stata una esperienza bellissima con 300 cristiani di tutta la diocesi, insieme con l’Arcivescovo. Poco dopo, tutte le 28 clarisse di un vicino monastero hanno chiesto di fare la stessa esperienza”.
Dobbiamo chiedere e ricevere forza dall’alto; il modo di manifestarsi va lasciato a Dio.
Il Santo Padre ci esortava a un tempo per dare spazio alla preghiera, all’adorazione, a quello che lo Spirito vuole dire alla Chiesa. Non si potrebbe designare, si domanda p. Raniero, un animatore spirituale che organizzi tempi di preghiera e di ascolto della Parola, in margine alle riunioni? La testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia” (Ap 19,10).
Lo spirito di profezia si manifesta di preferenza in un contesto di preghiera comunitaria. Ce lo testimonia Atti 4, 1-31. La Chiesa latina possiede un tesoro a questo fine: l’inno Veni Creator Spiritus che è risuonato incessantemente nella cristianità, come una prolungata epiclesi su tutta la creazione e sulla Chiesa.
A partire dai primi anni del secondo millennio, ogni anno nuovo, ogni secolo, ogni conclave, ogni concilio ecumenico, ogni sinodo, ogni ordinazione sacerdotale o episcopale, ogni riunione importante nella vita della Chiesa si sono aperti con il canto di questo inno.
Esso si è caricato di tutta la fede, la devozione e l’ardente desiderio dello Spirito delle generazioni che lo hanno cantato prima di noi. E ora, quando viene cantato, anche dal più modesto coro dei fedeli, Dio lo ascolta così, con questa immensa “orchestrazione” che è la comunione dei santi.
Vi chiedo la carità, Venerabili Padri, fratelli e sorelle, di alzarvi in piedi e di cantarlo con me per invocare una rinnovata effusione dello Spirito su di noi e su tutta la Chiesa…
Veni, creátor Spíritus, mentes tuòrum vísita, imple supérna grátia, quæ tu creásti péctora. Qui díceris Paráclitus, altíssimi donum Dei, fons vivus, ignis, cáritas, et spiritális únctio. Tu septifòrmis múnere, dígitus patérnæ déxteræ, tu rite promíssum Patris, sermóne ditans gúttura. Accénde lumen sénsibus, infúnde amórem córdibus, infírma nostri córporis virtúte firmans pérpeti. Hostem repéllas lóngius pacémque dones prótinus; ductóre sic te prævio vitémus omne nóxium. Per Te sciámus da Patrem noscámus atque Fílium, teque utriúsque Spíritum credámus omni témpore. Deo Patri sit glória, et Fílio, qui a mórtuis surréxit, ac Paráclito, in sæculórum sæcula. Amen | Vieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato. O dolce consolatore, dono del Padre altissimo, acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell’anima. Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore, irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola. Sii luce all’intelletto, fiamma ardente nel cuore; sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore. Difendici dal nemico, reca in dono la pace, la tua guida invincibile ci preservi dal male. Luce d’eterna sapienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. Sia gloria a Dio Padre, al Figlio, che è risorto dai morti e allo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen |
di Angela Di Scala