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Alla vigilia dell’Epifania, durante la catechesi del mercoledì, Papa Francesco precisa il ruolo di San Giuseppe nella vita del Bambino Gesù: «Come padre ufficiale di Gesù, Giuseppe esercita il diritto di imporre il nome al figlio, riconoscendolo giuridicamente. Giuridicamente è il padre, ma non generativamente, non l’ha generato. …Giuseppe sa già che per il figlio di Maria c’è un nome preparato da Dio – il nome a Gesù lo dà il vero padre di Gesù, Dio – il nome “Gesù”, che significa “Il Signore salva”, come gli spiega l’Angelo: «Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Questo particolare aspetto della figura di Giuseppe ci permette oggi di fare una riflessione sulla paternità e sulla maternità. E questo credo che sia molto importante: pensare alla paternità, oggi. Perché noi viviamo un’epoca di notoria orfanezza. È curioso: la nostra civiltà è un po’ orfana, e si sente, questa orfanezza.

Ci aiuti la figura di San Giuseppe a capire come si risolve il senso di orfanezza che oggi ci fa tanto male. … Non basta mettere al mondo un figlio per dire di esserne anche padri o madri. Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti».

Il Serafico Padre d’Assisi, Francesco, era stato, senza averli generati nel corpo ma nella fede, un padre molto protettivo e amorevole verso i suoi figli spirituali, i suoi fraticelli, dando tutto sé stesso in corpo e anima, protettivo come la chioccia con i suoi pulcini. Verso la fine della sua vita terrena, per paura di rimanere completamente orfani, uno dei frati gli domandò: «Padre, tu passerai da questa vita, e la famiglia che ti ha seguito rimane abbandonata in questa valle di lacrime. Indica uno, se conosci che esista nell’Ordine, che soddisfi il tuo spirito e al quale si possa addossare con tranquillità il peso di ministro generale».

Francesco, accompagnando le singole parole con sospiri rispose: «Non conosco alcuno capace di essere guida di un esercito così vario e pastore di un gregge tanto numeroso. Ma voglio dipingervi e, come si dice, modellare la figura, nella quale si veda chiaramente quale deve essere il padre di questa famiglia».

«Deve essere — proseguì –un uomo di vita quanto mai austera, di grande discrezione e lodevole fama. Un uomo che non conosca simpatie particolari, perché, mentre predilige una parte, non generi scandalo in tutta la comunità. Si applichi con zelo alla preghiera e sappia distribuire determinate ore alla sua anima e altre al gregge che gli è affidato. Così, di primo mattino deve premettere il sacrificio della Messa e raccomandare con lunga preghiera sé stesso ed il suo gregge alla protezione divina. Dopo l’orazione poi, si metta a disposizione dei religiosi, disposto a lasciarsi importunare da tutti, pronto a rispondere e a provvedere a tutti con affabilità. Deve essere una persona, che non presenti alcun angolo oscuro di turpe favoritismo e che abbia per i piccoli ed i semplici la stessa premura che ha per i maggiori e i dotti. Anche ammettendo che emerga per cultura, tuttavia ancor più nella sua condotta sia il ritratto della virtuosa semplicità e coltivi la virtù. Deve avere in orrore il denaro, principale rovina della nostra vita religiosa e della perfezione e, come capo di un Ordine povero, presentandosi modello agli altri, non abusi mai di alcuna somma di denaro». …

Consoli gli afflitti, essendo l’ultimo rifugio per i tribolati, perché non avvenga che, non trovando presso di lui rimedi salutari, gli infermi si sentano sopraffatti dal morbo della disperazione. Umili sé stesso, per piegare i protervi alla mitezza, e lasci cadere parte del suo diritto, per conquistare un’anima a Cristo. Quanto ai disertori dell’Ordine, come a pecorelle smarrite, non chiuda loro le viscere della sua misericordia, ben sapendo che sono violentissime le tentazioni, che possono spingere a tanto» (FF 771).

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