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Nel giorno dopo il 27 e in quello dopo il 29 gennaio la memoria si è nuovamente affacciata, pronta a portare il suo contributo alla costruzione di un Paese migliore.

Ogni anno è ritmato da “Giornate” nazionali, internazionali, mondiali che sono occasioni di conoscenza, di riflessione e di impegno. Sono date del calendario che hanno un significato e un valore, richiamano volti e storie che invitano a vivere con dignità il presente, a guardare il futuro con fiducia.

Ci si chiede a volte se questo inanellarsi di Giornate non porti a ridurre l’attenzione singolarmente richiesta. Il rischio esiste e se non tutte le ricorrenze possono avere lo stesso spazio nei pensieri è importante cogliere il legame dei loro diversi messaggi.

È il desiderio di un mondo migliore a unire gli anelli e nello stesso tempo a distinguere l’uno dall’altro, a confermare che nella loro diversità non c’è una separatezza ma intreccio, c’è una risorsa per vivere a testa alta la complessità.

Sono trascorsi pochi giorni dalla “Giornata della memoria”, 27 gennaio, dedicata alle vittime della Shoah: sono tornati i racconti della sofferenza, della crudeltà, dell’angoscia, dell’amore “impossibile”.

Un fatto ripreso da molti media ha però riproposto la domanda sulla tenuta della memoria nel tempo.

La minaccia di due adolescenti a un ragazzo di famiglia ebrea di ricacciarlo “nei forni” ha provocato un forte turbamento in un piccolo paese in provincia di Livorno dove famiglie, scuola e istituzioni hanno sempre e ammirevolmente tenuta viva la memoria della Shoah.

Com’è potuto accadere? Le narrazioni sui campi di sterminio resistono all’usura del tempo oppure si vedono trascinate nel vortice della cancellazione?

Ci si chiede per altri fatti recenti che hanno visto protagonisti i Novax se il furto della memoria non impoverisca una società incollandola alla paura e alla diffidenza?

Le domande irrompono e arrivano al tema del rapporto tra memoria e politica, tra bene comune e interesse di parte.

A questo interrogativo si collegano il fallimento delle segreterie dei partiti per le elezioni del presidente della Repubblica, la reazione Parlamento al vuoto creato dalle stesse segreterie e, soprattutto, la risposta di Sergio Mattarella: “Se serve, io ci sono”.

Il fallimento è un esito dell’affievolirsi della memoria storica, la reazione è un avvertimento preoccupato per la deriva, la risposta è il frutto di una memoria custodita e fattasi sorgente di un rinnovato atto di amore al Paese. Nel giorno dopo il 27 e in quello dopo il 29 gennaio la memoria si è nuovamente affacciata, pronta a portare il suo contributo alla costruzione di un Paese migliore. A dire che non basta celebrarla nello spazio di 24 ore ma occorre viverla e renderla viva nello spazio di una vita.

Fonte: Paolo Bustaffa – Sir
Immagine: Labirinto degli Steli a Berlino

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