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Alla ricerca di pace sotto un cielo di missili

Dopo l’inverno arriverà la primavera

Quanto segue non ha la pretesa di essere un’analisi della situazione geopolitica rispetto a quanto sta accadendo in questi giorni, nella guerra che vede la Russia intenzionata a “conquistare” l’Ucraina. Naturalmente di fronte alle immagini dei brutali attacchi russi, tutto il mondo resta senza parole perché vede nelle vittime, madri, padri, fratelli, sorelle e figli. Le immagini di questa guerra stanno segnando emotivamente tutti coloro che vi si imbattono. È impensabile nel 2022 vedere scontri bellici di questo tipo. Questo vento di morte deve essere bloccato il prima possibile, non è concepibile, è assurdo.

È proprio a partire da questa consapevolezza che in quanto segue si cercherà di fare delle considerazioni, al fine di gettare in queste scie di morte una parola di speranza, parola che si alza da ogni parte del pianeta e deve, ora più che mai, superare e zittire il rumore dei missili e delle bombe. Si afferma ciò partendo dal presupposto che la guerra in sé è uno stupidissimo delirio di pochi, o addirittura di uno, che nell’assurdità di sentirsi “padrone” della vita e della morte degli altri, armandosi distrugge tutto ciò che si oppone ai suoi capricci. Ci sono in ballo migliaia di vite, non si può “giocare a fare la guerra” come se si stesse ad un tavolo dinanzi al tabellone del Risiko: nella vita reale durante la guerra non saltano pedine ma vite.

L’assurdità più grande è che tutta questa follia si sta consumando nelle battute finali – sperando sia davvero così – di una pandemia che ha messo in ginocchio la vita di tutti, nessuno escluso. Una pandemia che da un giorno all’altro ha chiesto a donne e uomini di ogni paese e di diverse estrazioni sociali di rivedere la propria vita e di cercare di fare il possibile per salvaguardare la salute di ciascuno. È stato chiesto di limitare le uscite da casa, di creare “bolle”, di collaborare per il bene di tutti. È stato un inferno, molti ne hanno risentito psicologicamente. Si pensi ai bambini che sono rimasti chiusi in casa e a cui è stato limitato il contatto con i coetanei, giorni dinanzi ai pc senza poter andare a scuola. Si faccia memoria dei tanti anziani che sono morti dopo aver sofferto nella solitudine di un reparto a cui non si poteva accedere in alcun modo. Sono molti anche i giovani rimasti intrappolati in un mondo sempre più social e sempre meno sociale. Pensando alla guerra, quindi, le prime immagini che la mente dovrebbe rievocare, oltre a quelle del dolore relativo al periodo pandemico, sono quelle delle tante guerre inutili e strazianti del passato che fino a qualche giorno fa sembravano scongiurare ogni tipo di conflitto. Tuttavia sembra essere stato tutto vano perché ci si accorge che l’uomo continua a fare a pugni con sé stesso e il delirio di onnipotenza rischia, da un momento all’altro, di diventare “onnipotenza del delirio”, in cui tutto quello che passa nella mente di pochi mette a repentaglio la vita di tutti.

Il fulcro di questo delirio sta nel disperato e inutile tentativo dell’uomo di non avvertirsi nel limite. Non considerare il limite ha portato e porta l’uomo ancora oggi ad essere capace di qualsiasi gesto, perfino una guerra, arrivando follemente anche a giustificarla, come se ci potesse essere una guerra giusta. Questa è ontologicamente ingiusta e nessuno potrà mai illudersi di farla diventare l’unica strada possibile. Il vero dovere dell’uomo sta nel riconoscersi in quel limite che lo costituisce in quanto uomo stesso, per sua natura bisognoso di completarsi nella collaborazione in una collettività che gli permetta di esprimersi in quelle che sono le sue doti e di imparare da quelle degli altri. È questa la libertà: riconoscere i propri limiti per camminare nel mondo gli uni accanto agli altri. Nello scrivere queste righe riecheggia nella mente una canzone che può sintetizzare quanto si sta vivendo; il ritornello “suona” più o meno così:

E tu, tu che pensavi che fosse tutta acqua passata, che questa tragica misera storia non si sarebbe più ripetuta. Tu che credevi nel progresso e nei sorrisi di Mandela. Tu che pensavi che dopo l′inverno sarebbe arrivata una primavera. E invece no. E invece no. L’inciso appena riportato è tratto dal brano “L’uomo nero” di Brunori Sas.

Queste parole descrivono la terribile situazione che si sta vivendo in questi tempi. Chiudendo gli occhi si può sentire lo straziante silenzio di centinaia di persone che nelle macchine abbandonano il loro paese per paura della morte. Più lacerante ancora è il lamento di armi imbracciate da chi per tentare di difendere se e i propri cari è chiamato ad uccidere. “Questo non è un uomo”.  “Tu che pensavi che dopo l’inverno sarebbe arrivata una primavera. E invece no…” sono queste le parole che abitano la mente di un pianeta che ha già vissuto con pesantezza, sacrificio, lutto e dolore la pandemia da Covid ed è stanco di sentire parlare continuamente di morte. In questi giorni, proprio come se tutto questo non fosse mai successo, come se il dolore non meritasse rispetto, molte madri e altrettanti padri hanno dovuto spiegare ai propri figli che avrebbero dovuto scegliere solo un giochino da portare con sé perché lo spazio in macchina non era sufficiente.

Alla domanda “mamma, papà dove andiamo?” la risposta è stata: “lontano” e all’insistenza, che caratterizza l’essere bambini, nel chiedere: “per quanto tempo?” gli occhi di tanti genitori si sono riempiti di lacrime. Pensando un po’ a quanto sta succedendo sembra di poterli ascoltare: persone distrutte dal dolore che, con voce rotta e cuore infranto, hanno sussurrato “non lo sappiamo, speriamo presto”. La cosa più straziante che è accaduta in questo probabile dialogo è che all’ulteriore domanda “perché tutto questo?”, in quell’istante, è stato il mondo a fare silenzio.

Nessuno ha saputo cosa dire. Non c’è riposta ad una domanda simile. Come si spiega ad un bambino la morte causata da una guerra? Come si giustifica l’uccisione? Come mai tanto strazio? Perché? Il dolore è enorme, il silenzio pure. Tutto sembra così paradossale e assurdo che anche le pietre piangono per il sangue innocente e gli alberi chiedono pace.

È evidente che non può ritenersi conclusa una riflessione su un argomento così importante, ma c’è un pensiero che potrebbe sintetizzare tutto quanto scritto finora. Sono le parole di papa Francesco tratte dall’omelia della messa di Pentecoste del 2020 che chiariscono ciò che queste poche righe hanno provato a comunicare: “peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla”. Dunque terminando con la sua stessa preghiera, il mondo intero sembra unirsi in un solo grido: “Vieni, Spirito Santo: Tu che sei armonia, rendici costruttori di unità; Tu che sempre ti doni, dacci il coraggio di uscire da noi stessi, di amarci e aiutarci, per diventare un’unica famiglia”.

di Ivan Aiello

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